E
il mondo cattolico? La Democrazia cristiana permane in uno
stato d’imbarazzante silenzio. Del resto, lo scandalo provocato dal
rapimento di Ciro Cirillo ha zittito anche le poche voci dissidenti.
Certo c’è il dinamismo della Cisl, ma l’unitarismo dell’azione
sindacale la rende un soggetto assimilabile alla galassia che ruota
intorno al partito comunista. Non rimane che la Chiesa, ma parte da
una posizione svantaggiata: deve scontare il pregiudizio dei
comunisti e il silenzio di molti parroci dinanzi alle magnanime
offerte dei camorristi in occasione delle feste patronali e delle
celebrazioni sacramentali. Ad Acerra, però, dal 1978 c’è un
vescovo di fresca nomina, Antonio Riboldi. È lombardo ma arriva
dalla Sicilia, da Santa Ninfa precisamente, dove, da parroco, ha
guidato i fedeli contro mafiosi e politici corrotti per impedire che
si spartissero i finanziamenti destinati alla ricostruzione del
Belice, colpito dal sisma nel 1968. Da «don terremoto» a «vescovo
anticamorra» il passo è breve: «Ai primi degli anni Ottanta [...]
venne la mattanza. I morti si contavano due al giorno [...] tutti
dovevano camminare in punta di piedi, non parlando, quasi non
pensando, per non essere colpiti». L’11 dicembre 1981 Papa
Giovanni Paolo II rivolgendosi ai vescovi siciliani scrive: «Esistono
purtroppo alcuni fenomeni aberranti [...]. Si tratta di quella
mentalità o struttura mafiosa che [...] pretende di fare a meno
della legge e di poterla impunemente violare; di qui il moltiplicarsi
della violenza e degli omicidi i cui mandanti ed esecutori sono
protetti dall’omertà». E conclude: «occorre reagire, non bisogna
assolutamente rassegnarsi! [...] bisogna aiutare i fedeli a formarsi
e a maturare una retta coscienza etica». Don Riboldi, che ben
conosce la realtà siciliana, comprende che è arrivato il momento di
schierarsi. È il natale 1981 quando, ai fedeli riuniti per la messa
di mezzanotte, dice: «Non è possibile intrattenerci qui
sentimentalmente sul Natale […] quando si vive in mezzo alle
pistole, in mezzo alla violenza». Da quel momento non si ferma
più. Diventa un vero e proprio testimonial della lotta contro la
camorra: rilascia interviste, partecipa a convegni, guida cortei,
scrive editoriali, convoca riunioni. Qual è il pensiero di don
Riboldi? La camorra, negli anni del benessere, si è tramutata in una
«multinazionale della delinquenza». È un’organizzazione mafiosa
che ha una sua legalità all’interno di un sistema di regole
criminali. Un ordinamento strutturalmente avverso ai Comandamenti che
vuole farsi cultura per imporre con il terrore un modo di esistere
«inumano». La camorra è «“dentro” e “contro” il tessuto
umano e culturale d’un popolo». Dentro perché sfrutta
l’insicurezza e l’emarginazione per occupare gli spazi lasciati
vuoti dalla
società; contro perché ogni sua attività è una sopraffazione
della libertà di esprimersi. Perciò mafiosi e camorristi peccano
contro Dio e contro l’uomo. Sono portatori di «un’eresia» che
non ha nulla in comune con la comunità cattolica. «Si è parlato di
scomunica. Ma questi uomini sono già fuori». Chi proclama la morte
è naturalmente avverso alla comunione cristiana: «Se la parola
scomunica vuol dire questo, ecco, la scomunica c’è già». Tocca
agli «uomini di buona volontà» reagire al clima di terrore. Come?
Scendendo in strada, riconquistando il territorio, occupando lo
spazio pubblico che è diventato «teatro» di omicidi e luogo
d’esercizio di una «dittatura» Il potere della camorra, secondo
don Riboldi, «c’interroga in maniera perentoria sul nostro modo di
essere Chiesa in Campania», ma soprattutto «ci sfida ad [...]
un’autentica proposta di civiltà, ad essere non solo credenti, ma
credibili». La posizione del vescovo di Acerra si sposa con l’azione
della Caritas campana che intende studiare le forme della violenza
organizzata e le cause che la generano per organizzare una risposta
civile della Chiesa attraverso l’azione pastorale delle parrocchie.
È in questo contesto che fiorisce il Documento contro il fenomeno
della camorra della Conferenza episcopale campana. L’esortazione
iniziale è affidata ad un verso del profeta Isaia: «Per amore del
mio popolo non tacerò». I Vescovi ritengono la camorra «una forma
di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di
diventare componente endemica nella nostra società campana». È
un’organizzazione criminale che «ha sempre cercato di nobilitarsi
dandosi una ideologia e cercando di imporla quasi come
interpretazione della cultura della gente della Campania». È un
sacrilegio ideologico che chiama famiglia un clan mafioso, che
considera virtù la forza bruta, che identifica l’onore con
l’orgoglio della vendetta, che qualifica l’estorsione come un
atto di giustizia, che pretende di avere una sua religiosità
strumentalizzando «la funzione del padrinato nei sacramenti». Di
fronte a tutto questo la Chiesa non può tacere e deve intervenire
per demitizzare e isolare la camorra, rinnovare la proclamazione del
Vangelo, educare alla verità e alla giustizia, predicare il perdono,
sostenere la testimonianza dei pastori, e soprattutto «non
permettere che la funzione di “padrino”, nei sacramenti che lo
richiedono, sia esercitata» dai camorristi, né «celebrare con
solennità la liturgia funebre per coloro che notoriamente siano
stati legati alla camorra». In sostanza, se il Pci è il riferimento
politico, la Chiesa è il rifermento morale della lotta alla camorra.
(continua)
Autore: Marcello Ravveduto
(by Nicola)
Autore: Marcello Ravveduto
(by Nicola)
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