La
paura è un sentimento palpabile: «Quando torno dalle vacanze
[...] mi viene da piangere. Vedo questa cappa di foschia e cemento, e
penso che devo tornare a vivere lì, e mi sembra di morire. Voi non
potete nemmeno immaginare cos’è [...] il paese è integralmente
nelle mani della camorra». Un disinibito disprezzo della vita
provoca un terrore massificato e imprevedibile: basta un sospetto di
abboccamento con l’avversario e si finisce morti ammazzati. Nessuno
è immune, ognuno è vittima potenziale. Diamo uno sguardo alle
statistiche: se tra il 1967 e il 1977 le vittime innocenti della
camorra sono 5, tra il 1978 e il 1983 diventano 37 con un incremento
del 640% in soli cinque anni. Dunque, a differenza di quanto
scrive Indro Montanelli, il cui pensiero è spia di un diffuso
atteggiamento culturale nei confronti delle mafie, i camorristi non
si mangiano tra loro come tribù di «cannibali», ma hanno
travolto nella loro guerra anche le comunità circostanti. Anzi la
necessità di controllare gli appalti pubblici attraverso gli enti
locali, specialmente dopo il terremoto, provoca un’onda di
attentati contro consiglieri comunali, assessori e sindaci. Tra il
1978 e il 1983 sono 4 i pubblici amministratori assassinati, tutti
nei comuni dell’hinterland. Non importa il colore politico, ciò
che conta è l’eliminazione dell’ostacolo al pieno dispiegarsi
del «governo della camorra». In particolare l’omicidio di
Marcello Torre (11 dicembre 1980) ha un valore emblematico: la
camorra giustizia, pochi giorni dopo il terremoto, un sindaco (non
era mai accaduto prima), che si oppone alla gestione mafiosa della
ricostruzione, con un intento pedagogico eversivo: «colpirne uno per
educarne cento» .
Qual’è
la reazione a tanta violenza? In Campania, a differenza della
Sicilia, non esiste una tradizione di lotta civile contro i fenomeni
mafiosi. La camorra non è considerata alla stregua della mafia. La
legge antimafia del 1965, che destina boss e affiliati al domicilio
coatto, è applicata solo parzialmente sul territorio regionale a
partire dal 1972. Il primo soggetto a mobilitarsi è il sindacato che
si è scontrato con la camorra sui luoghi di lavoro subendo gravi
perdite. Nella primavera del 1980 si tiene un convegno a Nocera
Inferiore in cui Cgil, Cisl e Uil propongono la:
costruzione
di un sistema di alleanze
che vedano come essenziali protagonisti,
accanto
a sindacati, a partiti progressisti,
a Magistratura democratica,
direttamente
le figure sociali dalla cui unità
o meno dipende la possibilità
di creare
quel blocco sociale alternativo
in grado di lottare non contro il
camorrista,
ma
contro la camorra, vanificandone la sua funzione.
I
giudici di area Pci partecipano all’incontro rilevando un nuovo
atteggiamento della «classe operaia» che ha superato le vecchie
diffidenze verso la magistratura per il bene superiore della
democrazia repubblicana. Il pretore Gennaro Marasca evidenzia,
inoltre, che le analogie tra violenza criminale e politica richiedono
strumenti similari di repressione. Camorra e terrorismo impediscono
«lo sviluppo di ogni processo democratico», sono forme di eversione
contrarie al dettato costituzionale. Per tale ragione, è necessario
stabilire una collaborazione tra istituzioni e «organizzazioni
rappresentative di interessi collettivi [...] per affrontare con
successo i problemi della violenza e del terrorismo». La camorra –
aggiunge Massimo Amodio, segretario regionale di Magistratura
democratica – è lo strumento di un «certo potere» che vuole
frenare la trasformazione civile del Paese «nel senso voluto dalla
Costituzione Repubblicana». Nelle conclusioni Mario Garimberti, dirigente
nazionale della Cgil, propone di aprire una «vertenza contro la
camorra» al fine di promuovere «una partecipazione di massa» in
grado di «spostare in avanti l’iniziativa del sindacato». La
mobilitazione, però, deve anche innescare un’analisi più accurata
del fenomeno considerandolo un fattore storico «condizionatore del
potere politico, economico ed istituzionale». La necessità di
sviluppare una riflessione sulle cause che alimentano la criminalità
organizzata, conduce la Cisl, in collaborazione con la Fondazione
Domenico Colasanto, a costituire nel 1981, affidandone la direzione
al sociologo Amato Lamberti, l’«Osservatorio sulla camorra». La
struttura si propone come «punto di riferimento» di enti,
associazioni, istituti e centri di ricerca che da un lato vogliono
«approfondire la conoscenza» del «fenomeno» con indagini
«territoriali», dall’altro tenere alto il «livello di
attenzione» dell’opinione pubblica sulla pericolosità, sulle
collusioni e sugli affari dell’organizzazione criminale. Lo
strumento di confronto pubblico è il bollettino quadrimestrale. Nel
primo numero Lamberti traccia la linea da seguire:
La
prima operazione da compiere [...]
è quella di sgombrare il campo
dagli equivoci
che comporta
l’utilizzazione del termine «camorra»
per indicare
un fenomeno
– quello della criminalità organizzata – che non ha alcuna
somiglianza,
né
sul piano della struttura organizzativa,
né su quello della
legittimazione sociale,
con
l’organizzazione malavitosa che,
da quasi un secolo,
sopravvive
solo nella letteratura
d’appendice.
(continua)
Autore: Marcello Ravveduto
(by Nicola)
Autore: Marcello Ravveduto
(by Nicola)
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