Ringraziamo la prof.ssa Letizia Bindi, Direttrice del Centro 'BIOCULT' dell'UNIMOL, per averci segnalato l'articolo a firma del prof. Buttitta. Quanto nello stesso contenuto ci sprona a perseguire sulla strada intrapresa con 'MANGIA FUOCO'
"Il suo utilizzo pratico è all’origine dello sviluppo sociale e della
parola ed è quindi diventato essenziale nella strutturazione simbolica
della civiltà"
In mille modi il fuoco è al cuore della civiltà. «Si sa bene che
ha consentito di cuocere gli alimenti, è divenuto un formidabile
strumento per difendersi dalle fiere e proteggersi dal freddo. Ma –
commenta Ignazio Buttitta, antropologo dell’Università di Palermo,
autore del volume Il fuoco. Simbolismo e pratiche rituali
(Sellerio, pagine 212, euro 14,46) – ha anche consentito di
riunirsi la sera a dispetto delle tenebre e dialogare. E questo ha
permesso di migliorare i rapporti sociali. Tanto che si può
ipotizzare che proprio grazie alla padronanza del fuoco si sia
sviluppata la capacità di usare la parola. Insomma, è il principale
tra gli strumenti di cui la nostra specie è stata in grado di
servirsi».
Dunque è questo che rende tale l’essere umano,
distinguendolo dalle specie animali?
Già nel Paleolitico medio e superiore i
Neanderthaliani, i Cro-Magnon e popolazioni affini sapevano non solo
raccoglierlo dagli incendi innescati dai fulmini ma anche produrlo,
conservarlo, gestirlo. Questo ha consentito all’essere umano di
ridurre la propria dipendenza dall’ambiente naturale e ha aperto la
prima grande rivoluzione ecologica. Che segna, come ha scritto Mircea
Eliade, “la separazione definitiva tra i Paleantropi e i loro
predecessori zoologici”: si è trattato di un salto di specie, il
punto di partenza di un processo evolutivo che è esclusivamente
umano. Vi sono infatti diversi animali capaci di costruire
rudimentali utensili, ma solo l’uomo sa accendere e maneggiare il
fuoco. E con questo dominare sulla natura, sin dalla notte dei tempi.
Quando si hanno le prime testimonianze del suo uso?
Difficile stabilirlo, probabilmente già nel
Paleolitico inferiore fu adoperato per indurire alcuni utensili di
legno. E in seguito per modellare oggetti in terracotta, rendere i
terreni atti alla produzione agricola bruciando le sterpaglie,
ricavare metalli dalle pietre, forgiare strumenti… Le forme che
uscivano dalle mani del vasaio e del fabbro prima non esistevano: chi
sa usare il fuoco ha la capacità di creare e, così facendo, di dare
ordine al mondo fisico. Ma la forza delle fiamme può anche
distruggere e, così come purifica la materia grezza, può pure
cancellarla riducendola in cenere. Per conseguenza chi sa dominare il
fuoco appare investito di un potere immenso e misterioso, e assume
un’aurea di sacralità. Anche perché il fuoco che sale verso
l’alto tocca il cielo, raggiungendo una dimensione altrimenti
ignota, inarrivabile. Per tutto questo scaturiscono miti e simboli.
E questo avviene ovunque nel mondo.
Per esempio nella cultura vedica il dio Agni, che
rappresenta il fuoco, la luce, il sole è visto come il mediatore tra
la realtà terrestre e quella ultramondana. E nelle culture
mediterranee ecco Prometeo che ruba agli dei il segreto di questo
straordinario potere per donarlo agli uomini, e il mito della Fenice
che risorge dalle ceneri e dà l’immagine della vita che rinasce
purificata. E dopo aver dato origine a miti e rappresentazioni
simboliche, il fuoco stimola il pensiero razionale dell’antica
Grecia, dove con la terra, l’aria e l’acqua è visto come
elemento fondativo del cosmo.
Anche la religione lo recepisce nel suo valore simbolico.
Nella tradizione biblica è associato al
manifestarsi di Dio agli uomini: nella colonna che nelle tenebre
guida il popolo ebraico durante la fuga dall’Egitto così come nel
roveto ardente. Ma è presente anche nella sua valenza distruttrice,
poiché cova inestinguibile nella Geenna.
Lei ha studiato anche il modo in cui il fuoco
alimenta le tradizioni popolari a carattere devozionale in
particolare in Sicilia.
Certo, in molte cittadine si tra-mandano antiche
usanze, ancora oggi con ampia partecipazione di popolo nelle feste
dedicate ai santi patroni e alle ricorrenze liturgiche. Per esempio a
Tortorici durante la sagra del patrono, san Sebastiano, si svolgono
fiaccolate che si concludono nella piazza del duomo: qui si forma un
falò ed è usanza che i giovani si lancino per superarlo con agili
salti tra grida di incitamento e acclamazioni. È una testimonianza
di religiosità popolare che forse perpetua anche antichi riti di
iniziazione. In ogni caso queste tradizioni costituivano, e ancora
costituiscono, un tentativo di rispondere alle inquietudini
fondamentali dell’esistere. Spesso chi le pratica desidera
assolvere a un voto contratto con il santo a cui è dedicata la
festa. Sono l’occasione in cui le comunità desiderano purificare
lo spazio e il tempo che abitano e si ha l’impressione che alle
feste vogliano consapevolmente consegnare la garanzia della propria
identità. Fin quando tanti fuochi si leveranno alti nelle piazze dei
nostri paesi e tante fiaccole si agiteranno nelle notti, la memoria,
dunque la vita, di intere comunità, continuerà a testimoniarsi e a
testimoniare.
Fonte: 'AVVENIRE'
(by nicola)