“You
are the filth of Naples”.
The
birth of the anti-Camorra movement in Campania
Parole
chiave :
mobilitazione
civile, violenza, anticamorra, Chiesa, studenti
A
Napoli, negli anni Settanta, il contrabbando di sigarette è un
fenomeno sociale legittimo, anche se illegale. Tra contrabbandieri e
istituzioni esiste un «patto» non scritto in base al quale tutto è
consentito, fin quando l’ordine pubblico non è turbato. Il boss
Michele Zaza, affiliato a Cosa nostra, si vanta di essere l’Agnelli
napoletano. La sua «impresa» è come la Fiat: tra organizzazione e
indotto vivono 700 mila persone. Alla fine del decennio, però, il
contrabbando entra in crisi a causa dell’incremento dei costi di
gestione che rende necessario riconvertire l’organizzazione verso
il trasporto di merci più remunerative: armi e droga. Nel film I
contrabbandieri di S. Lucia si può vedere il processo di
ristrutturazione in atto: Francesco Autiero (Mario Merola) comanda le
paranze del contrabbando e non vuole avere rapporti con chi commercia
la droga; Michele Vizzini (Antonio Sàbato), invece, importa eroina
dal Medioriente e ha bisogno della rete logistica di Autiero per i
suoi traffici. Il mafioso, conquistata la fiducia del guappo,
comincia a far girare la droga nel quartiere, provocando la morte di
una bambina. A quel punto scatta la vendetta: l’uomo d’onore si
allea con l’Fbi e vola a New York per regolare i conti con il
narcotrafficante. Il film ruota intorno agli stereotipi
dell’immaginario folklorico napoletano, ma, nel nostro presente, è
una fonte audiovisiva che racconta la crisi di crescita della
camorra. La droga impone nuovi modelli organizzativi, fa emergere una
giovane classe dirigente criminale, prescrive un uso strategico della
violenza e richiede la capacità di gestire relazioni con network
internazionali.
La
trasformazione avviene negli stessi anni in cui stanno cambiando gli
assetti urbanistici e sociali dell’area metropolitana. La
popolazione di Napoli, tra il 1951 e il 1971, aumenta di 216.044
abitanti. L’epidemia di colera dell’agosto 1973 è il sintomo
di una sconfitta. La classe dirigente democristiana è al collasso.
Alle elezioni comunali del 1975, infatti, il Partito comunista
italiano conquista la maggioranza (32,3%). Il sindaco Maurizio
Valenzi si impegna a migliorare le condizioni igieniche e ambientali
della città costruendo aree di edilizia popolare in cui si
concentrano i ceti meno ambienti della città. Si aggregano vere e
proprie regioni morali in cui la socializzazione è sussidiata dalla
solidarietà dell’habitat partecipando ai valori, condividendo i
comportamenti e mostrando lealtà alla visione extra legem della
comunità. L’introversione della prossimità genera un mondo
chiuso, criminogeno: i casermoni delle periferie, la case popolari
dell’hinterland e i vecchi quartieri del centro storico sono i
principali luoghi di formazione della nuova delinquenza.
A
cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, Napoli diventa una
città-regione: una conurbazione tentacolare, con un raggio di
quaranta chilometri, che moltiplica i problemi del capoluogo in un
continuum urbanistico di tre milioni di abitanti. Un agglomerato
densamente abitato che nell’immaginario collettivo assume le
caratteristiche di un Bronx in cui collocare gli «scarti umani» del
processo economico.
La «camorra moderna» è l’esito di «questo particolare disastro urbano». Un universo degradato che, con il terremoto del 23 novembre 1980, sale alla ribalta della cronaca nazionale come una Giungla d’asfalto in cui si fronteggiano voraci predatori urbani. Prendiamo il caso delle Vele di Scampia, veri e propri rioni verticali. I primi arrivi risalgono al 1976, ma dopo il terremoto il quartiere è preso d’assalto: agli aventi diritto si aggiungono famiglie dell’hinterland o del centro storico alla ricerca di «un posto dove stare». Gli edifici sono occupati da terremotati in attesa di alloggio e da famiglie disperate che si sistemano persino nei sottoscala. Nel 1982 così le descrive Attilio Veraldi nel romanzo 'Naso di cane':
La «camorra moderna» è l’esito di «questo particolare disastro urbano». Un universo degradato che, con il terremoto del 23 novembre 1980, sale alla ribalta della cronaca nazionale come una Giungla d’asfalto in cui si fronteggiano voraci predatori urbani. Prendiamo il caso delle Vele di Scampia, veri e propri rioni verticali. I primi arrivi risalgono al 1976, ma dopo il terremoto il quartiere è preso d’assalto: agli aventi diritto si aggiungono famiglie dell’hinterland o del centro storico alla ricerca di «un posto dove stare». Gli edifici sono occupati da terremotati in attesa di alloggio e da famiglie disperate che si sistemano persino nei sottoscala. Nel 1982 così le descrive Attilio Veraldi nel romanzo 'Naso di cane':
"una
spianata enorme di melma
attraversata da veri e propri camminamenti,
attraversata da veri e propri camminamenti,
precari
quanto spesso a loro volta impraticabili,
che portavano a vari edifici,
alti fino a quindici piani e privi di riscaldamento
ed ascensori [...]. In tanto spazio
che portavano a vari edifici,
alti fino a quindici piani e privi di riscaldamento
ed ascensori [...]. In tanto spazio
s’era
verificata un’imprevista mancanza di spazio,
che a sua volta aveva ricreato
che a sua volta aveva ricreato
una
situazione identica a quella dalla quale tutti,
legittimi assegnatari e esasperati usurpatori,
avevano in sostanza cercato di fuggire."
legittimi assegnatari e esasperati usurpatori,
avevano in sostanza cercato di fuggire."
Il
protagonista del romanzo è il simbolo della mutazione: Ciro «naso
di cane» è un giovane cresciuto nello sconquasso della periferia il
cui orizzonte «professionale» non è il contrabbando o qualche
mestiere illegale ma il raggiungimento dello status di killer: «Siamo
in presenza di una prima generazione di delinquenti professionisti
usciti da poco dall’adolescenza o dal compimento della maggiore età
che si trova ad essere inquadrata e diretta da un’élite di capi
camorra più anziani e relativamente bene organizzati».
(continua)
Autore: Marcello Ravveduto
(by Nicola)
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