La sottovalutazione della minaccia camorristica deriva, pertanto, da un deficit di analisi. Anche il Pci aggiorna la sua lettura: la camorra non è più una criminalità residuale, destinata a scomparire con l’incedere della modernità, risponde, piuttosto, «al bisogno di industrializzazione del crimine». Non è l’evoluzione di un’antica tradizione delinquenziale (che pure ha avuto la sua influenza) ma il risultato delle particolari condizioni economiche, sociali e politiche generate dalla disordinata crescita urbana, intrecciata all’emergere della «questione giovanile» e alla crisi delle «istituzioni democratiche». La lotta alla camorra, perciò, diventa il principale obiettivo politico dei comunisti già nel 1980, quando, agli inizi di novembre, a Castellamare di Stabia, roccaforte del partito, gli operai dei cantieri navali scioperano per protestare contro le infiltrazioni criminali tra le maestranze della fabbrica. Pochi giorni dopo i commercianti di Napoli manifestano contro lo «strangolamento» delle estorsioni di massa. Lo scrittore Antonio Ghirelli segna l’evento come una data storica della città, «della sua maturazione civica, del suo pieno e definitivo inserimento nella vita nazionale». Il segretario regionale del Pci, Antonio Bassolino, dalle colonne de L’Unità, plaude all’iniziativa: «Poteva essere la risposta di un “ceto” separato dal resto della città. Invece, c’è stato il tentativo di ricercare un punto d’incontro tra i commercianti e le forze popolari che si battono per il rinnovamento di Napoli e del Mezzogiorno». L’editoriale indica la volontà del Pci di costruire un’alleanza trasversale per reagire al «sistema di potere» che governa reggendosi su un «clima di corruzione e connivenze». Un’alleanza in difesa della democrazia: «la camorra, la mafia sono un pericolo grave come il terrorismo, sono il “terrorismo” del Mezzogiorno». La lotta alla criminalità organizzata «non è altra cosa rispetto a quella per lo sviluppo e per la democrazia». L’antimafia come salvaguardia della Costituzione repubblicana dall’aggressione terroristica delle mafie diventa una caratteristica identificante per i comunisti meridionali. Nel novembre 1979, su Rinascita, Pio La Torre così scrive:
Non
c’è dubbio comunque che con gli ultimi assassinii verificatisi a
Palermo siamo di
fronte ad un gruppo politico mafioso che ha scelto di farsi avanti
con i sistemi
del
terrorismo politico. [...] Quella che noi sollecitiamo
è una presa
di coscienza del
pericolo mortale
che l’attacco convergente dei criminali mafiosi
e
dei terroristi fa
correre alle istituzioni democratiche
nel nostro Paese.
E
concludendo aggiunge: «La mobilitazione unitaria dei lavoratori e di
tutto il popolo dovrà avvenire in forme originali, corrispondenti
alla specifica realtà di ciascuna regione e alle caratteristiche del
nemico con cui occorre fare i conti». L’editoriale di Bassolino,
perciò, prova a declinare il modo in cui i comunisti campani
intendono «fare i conti» con il «terrorismo della camorra», a
partire da una nuova interpretazione del fenomeno: «il nemico che ci
è di fronte ha il volto di strutture mafiose “moderne” che hanno
estesi legami nazionali ed internazionali». Intorno a questa nuova
consapevolezza il partito attrezza una risposta a più livelli. Il
primo è quello della ricerca: politici, sindacalisti, magistrati e
studiosi di area Pci lavorano all’aggiornamento dell’analisi.
Anche la redazione napoletana de L’Unità sostiene l’iniziativa
lanciando un sondaggio a cui rispondono più di 11 mila persone. Il
secondo è teso all’aggregazione di un vasto fonte di opposizione
sociale attraverso la tattica del collateralismo politico. La
«battaglia», secondo il consigliere regionale Isaia Sales, «dovrà
avere un grande respiro ideale, il respiro di una vera e propria
lotta di liberazione». Il terzo è quello dell’iniziativa
politica. Il gruppo consiliare del Pci presenta quattro proposte di
legge regionale: 1) realizzazione della banca dati sulle opere
pubbliche e istituzione del bollettino degli appalti e delle
forniture; 2) creazione di un fondo per le vittime di estorsione; 3)
finanziamento di progetti didattici anticamorra; 4) partecipazione
delle cooperative alle gare d’appalto per evitare il ricorso al
subappalto. Insomma, il Pci campano mette in campo saperi
scientifici, competenze tecniche e iniziative culturali presentandosi
all’opinione pubblica come il principale referente politico della
lotta alla camorra.
(continua)
Autore: Marcello Ravveduto
(by Nicola)
Autore: Marcello Ravveduto
(by Nicola)
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