In
questo contesto nasce la Nuova camorra organizzata (Nco) di
Raffaele Cutolo che sfida le famiglie storiche del contrabbando. La
Nco è un paradosso del crimine organizzato, un ibrido: è più
camorristica perché trasforma l’estorsione in fenomeno di massa; è
più mafiosa perché è governata da un’oligarchia economica e
militare; è più terroristica perché ha una direzione strategica e
giustifica il ribellismo dei giovani devianti. Cutolo veste i panni
del leader ideologico. A Joe Marrazzo, che lo intervista, dice: «Sono
figlio di contadini e sono orgoglioso. Quindi se io c’ho dei soldi
li mando all’umanità sofferente; [...] Sono un uomo che a modo mio
sto contro la società. […] Sono un uomo che combatte contro le
ingiustizie». E quando il giornalista gli chiede: «Un Robin Hood,
diciamo?», il boss risponde assertivamente: «Diciamo». La sua
propaganda si ispira al modello del bandito sociale: «Anche se in
effetti egli prescinda da motivi di protesta sociale, la pubblica
opinione sarà convinta del contrario, cosicché anche un autentico
delinquente professionale potrà arrivare a carpire il favore
generale». La sua magnanimità è ostentazione del potere: «le
ingenti spese del bandito [...] anziché allontanarlo dai suoi
ammiratori, lo legano ad essi, sempre che egli non si allontani
troppo dal ruolo eroico che gli è stato attribuito.» Di fronte
alla massa dei giovani devianti, don Raffaele è il ragazzo povero
che ha fatto fortuna elevandosi dalla miseria, dall’abbandono e
dalla rassegnazione. Per molti affiliati è un vero padrino (che
battezza e guida il figlioccio) e la Nco è una ideologia. Cutolo
incontra in carcere i giovani delle periferie criminogene e dà loro
un credo, una bandiera, convincendoli che la violenza camorristica è
l’unica via per il benessere economico e il prestigio sociale. Qual
è il credo? Innanzitutto la contrapposizione agli «stranieri», in
particolare ai mafiosi siciliani che, grazie al contrabbando, hanno
«colonizzato» Napoli e la Campania. Scrive Cutolo: «abbiamo
dimostrato e rivelato quale sia la forza del nostro animo e del
nostro carattere che rinnovando i fasti antichi di Napoli e della
Campania abbiamo restituito un popolo alla sua dignità». E ancora:
«Il giorno in cui la gente della Campania capirà che vale più un
tozzo di pane libero che una bistecca da schiavo, quel giorno la
Campania ha vinto veramente.» Riferendosi invece agli avversari,
alleati di Cosa nostra, dice: «Per me erano “mezzi mafiosi”
perché prendevano ordini dai capi siciliani, vendendosi così la
loro terra.»
È
da notare l’uso dell’identità regionale come elemento
aggregante. Cutolo è il primo che sfrutta il campanilismo per
costruire una piattaforma politica su basi delinquenziali. La Nco è
l’espressione di una delinquenza-massa, una specie di movimento
collettivo della gioventù campana violenta e sbandata. Un partito
del crimine fondato sull’ideologia della violenza. Il boss di
Ottaviano è affetto dalla «sindrome di Spartaco»: emerge dalle
schiere camorriste mettendosi a capo degli emarginati dal benessere
mafioso. È il leader della manovalanza criminale la cui vita non è
valutata in base alla dignità umana ma in base al valore
economico. Solo grazie a una lotta sanguinaria questi «gladiatori»
(comunque destinati alla morte) possono aspirare alla libertà: ogni
battaglia, ogni vittoria, ogni «romano» massacrato è un passo
verso la costruzione di nuovo regime criminale. Don Raffaele si
presenta al popolo degli «schiavi della camorra» come un
liberatore. Un capo carismatico in grado di indicare un destino
migliore a una massa di capi e capetti senza identità, incapaci di
pensare a un’organizzazione moderna, autonoma e indipendente dal
notabilato criminale. È la sfida tra due modelli organizzativi
alternativi che si confrontano sulla base di una logica manichea:
innovatori contro conservatori, entrambi convinti di avere la ragione
dalla loro parte. Ecco cosa dice un giovane cutoliano intervistato da
un giornalista di «Panorama»: «Andiamo soltanto incontro alla
morte. Che viviamo a fare qui, qui viviamo malamente, la vita degli
uomini qui vale zero. Io quello che ho visto nei miei ventitré anni
mi basta e sono già morto. Adesso sto vivendo un di più, una vita
regalata. Se
vogliono uccidermi, che mi uccidano, quello che ho visto mi basta.»
(continua)
Autore: Marcello Ravveduto
(by Nicola)
Autore: Marcello Ravveduto
(by Nicola)
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