La
Relazione dell'Osservatorio Antimafia del Molise 2017-2018 è di
grande interesse per chi studia le modalità di infiltrazione delle
organizzazioni mafiose nell’economia legale, sia per il metodo
adottato che per i risultati conseguiti. Sul piano del metodo, si è
proceduto incrociando
i dati relativi alla Regione Molise contenuti nelle banche dati della
Agenzia Nazionale per la gestione e destinazione dei beni sequestrati
e confiscati, della Direzione Investigativa Antimafia e della
Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo. Una operazione
assolutamente innovativa. Di fronte ai dati offerti dalla Relazione,
allarmanti ma non disperanti, la conclusione è che si deve agire
senza ulteriori esitazioni. Ma occorrerebbe accompagnare l'azione
repressiva con una attenta opera di prevenzione giudiziaria e
culturale.
Prendendo
anzitutto atto che non esistono nel nostro Paese “isole felici”,
cioè immuni da infiltrazioni mafiose. Non lo era la Basilicata già
venti anni orsono, non lo più è il Molise oggi. Se è vero che
anche nel Molise, nel settore degli appalti pubblici, "alcune
imprese pulite si sono affidate alle mafie per essere più
competitive e aggressive sul mercato", è anche in direzione di
quelle imprese che occorre rivolgere l'attenzione investigativa
finalizzata, per esempio, alla amministrazione controllata prevista
dal Codice Antimafia proprio per le imprese a rischio di
condizionamento mafioso. Tutte le forme di criminalità, anche le più
radicate, possono essere contrastate all’interno di sistemi legali
con la creazione di efficaci strumenti normativi e organizzativi. Da
questo punto di vista, sarebbe interessante
misurare anche per la realtà molisana – come la DNA e l’Università
Bocconi tentarono di fare venti anni fa in Basilicata – il grado di
infiltrazione in rapporto al grado di efficienza degli apparati
investigativi e giudiziari, nonché di efficacia della risposta
preventiva e repressiva. La base per qualunque serio contrasto ad
ogni forma di illegalità è il tempestivo scambio e la condivisione
delle informazioni rilevanti, sia al livello interno che sul piano
internazionale, sia tra forze di polizia che tra uffici giudiziari e
tra questi ultimi e gli altri attori istituzionali, secondo principi
ormai da tempo codificati. Sono principi ben noti e già affermati
nelle Convenzioni ONU di Palermo (2000) contro la criminalità
organizzata e di Merida (2003) contro la corruzione. Eppure,
nonostante abbiamo ratificato quelle Convenzioni e siamo dotati da
tempo della legislazione più avanzata del mondo in materia di
antimafia, e nonostante una azione di contrasto, pagata con il
sacrificio di tanti servitori dello Stato, che ha prodotto innegabili
successi negli ultimi 25 anni, le mafie sono ancora forti e si sono
insediate e ramificate anche in territori diversi da quelli di
origine.
Come
mai non sono state sconfitte dalla modernità ed anzi si trovano
pienamente a loro agio dentro di essa, incrociandosi sempre più
strettamente con la corruzione e con i “comitati d’affari”
nell’ambito dell’economia legale? Quali fattori hanno assicurato
lo sviluppo e la forza delle mafie? Il primo fattore di forza delle
mafie è il costante incrocio tra domanda e offerta di servizi
criminali (protezione, droghe, smaltimento rifiuti, voto di scambio,
prostituzione e impiego di manodopera straniera): la forza delle
mafie sta fuori dalle mafie, sta nelle sue relazioni con la c.d.
“zona grigia” della società civile, con chi è disposto a
intrecciare rapporti di affari illeciti per convenienza economica,
professionale o politica. Vi è, poi, la capacità di soggetti
criminali di cogliere le opportunità offerte: dalla globalizzazione
dello spazio del mondo; dalla vulnerabilità dei mercati finanziari
(paradisi fiscali
e societari); dalla vulnerabilità delle pubbliche amministrazioni e
dai sistemi corruttivi. Inoltre, vi sono le crescenti disuguaglianze
sociali, che favoriscono le mafie nel fare affari con i ricchi senza
scrupoli e nel reclutare i disperati nelle fila della manovalanza criminale,
e le permanenti le asimmetrie regolative e disarmonie ordinamentali
tra i vari Paesi, anche all’interno dell’UE. Infine, la
trasformazione delle associazioni mafiose da strutture militari e
violente in entità affaristiche fondate su un sostrato militare, che
operano secondo schemi corruttivi, mantenendo la riserva di violenza
a garanzia del rispetto dei patti corruttivi, è stata conseguente
anche alla mancata attuazione dei principi costituzionali, a
cominciare da quel diritto al lavoro, che è fondamento della
Repubblica (art.1 Cost.), a quale ha il dovere di promuovere le
condizioni che lo rendano effettivo (art. 4 Cost.). Fermarsi a
riflettere e approfondire questa tematica in modo globale, e non
settoriale, permette di cogliere la complessità dei problemi e di
evitare deficit di conoscenza e ritardi nella organizzazione delle
contromisure. E' stato questo il nucleo portante della Conferenza
Nazionale svoltasi dal 16 al 18 novembre a Napoli. L'iniziativa è
stata promossa da Regione Campania, Procura Nazionale Antimafia e
Antiterrorismo ed Eurispes e ha visto la partecipazione di
rappresentanti delle Istituzioni, accademici, manager, giornalisti,
intellettuali, ricercatori. Sicurezza e legalità sono state
esaminate attraverso otto tavoli tematici: beni confiscati, ambiente
e territorio, sicurezza urbana e tutela penale, infiltrazione della
criminalità organizzata nell'economia legale, terrorismo,
immigrazione e tratta degli esseri umani, cyber – security,
dipendenze, sicurezza e società. Dai tavoli sono emerse idee e
proposte nuove perché abbiamo affrontato i problemi attraverso punti
di vista diversi ma convergenti sullo stesso obiettivo di trovare
soluzioni concrete e praticabili. Si è affrontato il tema della
criminalità organizzata di tipo mafioso, anche nei suoi rapporti con
la criminalità organizzata comune (sistema “gelatinoso”, cricca
degli appalti, ecc.). E’ stata evidenziata la necessità di
potenziare l’attacco ai patrimoni e la necessità di istituire una
banca dati in cui raccogliere le informazioni non solo sui vincitori
delle gare di appalto, ma anche dei partecipanti, con uno sguardo a
tutti gli operatori che di volta in volta compongono i cartelli. Sul
tema, di grande attualità, della vendita ai privati dei beni
confiscati, è emersa l’esigenza di procedere alla vendita come
ipotesi residuale e con esclusione dei beni di grande rilievo
simbolico, che vanno valorizzati e destinati al riuso pubblico, come
già previsto anche da una recente legge della Regione Campania. Si è
sottolineata la necessità di una efficace lotta alla corruzione,
strumento privilegiato delle mafie e delle organizzazioni di
malaffare. Gli strumenti offerti dalla nuova legge anticorruzione (mi
riferisco in particolare a quegli strumenti di contrasto previsti
dalla Convenzione di Merida e in tutto simili a quelli da tempo
utilizzati contro le mafie, come le indagini con agenti sotto
copertura e una causa speciale di non punibilità per chi collabora
con la giustizia) sono un segnale positivo proprio perché sono nel
segno della trasparenza e della rottura del vincolo di omertà che
lega corrotto e corruttore. Sono molteplici le classifiche
internazionali sugli indicatori di trasparenza, che rendono evidenti
le difficoltà che ancora si manifestano nel nostro Paese per
raggiungere standard accettabili sotto il profilo internazionale. Il
“Corruption perception index”, pubblicato da Transparency
International, vede l’Italia ancora al cinquantaquattresimo posto
nella graduatoria mondiale delle nazioni per l’anno 2017, con un
punteggio pari a 50, ben lontano dal punteggio del Paese che guida la
graduatoria (la Nuova Zelanda, con 89 punti). Va sottolineato però
che negli ultimi anni stiamo recuperando parte del terreno perduto.
Nel
confronto tra 2016 e 2017 abbiamo recuperato sei posizioni nella
graduatoria mondiale ed abbiamo migliorato il nostro risultato di 3
punti. Servirebbe introdurre sistemi di incentivi e disincentivi che
orientino i comportamenti della committenza e dei fornitori verso
risultati adeguati per assicurare il miglior funzionamento del
sistema delle gare pubbliche. Concorrere alla formazione di
meccanismi che inducano comportamenti convergenti verso la
trasparenza e la legalità rappresenta dunque un obiettivo primario,
sia sul versante della committenza pubblica sia sul versante delle
aziende che operano sul mercato,
in particolare nell’area delle gare pubbliche. Il decreto
legislativo 33/2013 (poi modificato dal d.lgs. 97/2016) ha introdotto
obblighi di trasparenza delle amministrazioni impegnativi e forme di
accesso avanzate. Appare promettente l’approccio alla rilevazione
di criticità e alla prevenzione e sanzione di condotte illegali
(anche con riferimento all'eventualità dei c.d. bandi “prototipati”,
a misura del vincitore auspicato o già concordato), recentemente
sviluppato anche con l'analisi di ambiti di attività specifici
(settore sanitario, servizi di pulizia, ecc.). L'idea portante è che
è possibile costruire indicatori di rischio, attestanti la possibile
(ma non necessaria) presenza di fatti corruttivi. Ciò a partire da
un elenco completo, aggiornato e attendibile di prezzi di riferimento
generali. Uno scostamento eccessivo da tali prezzi indica, appunto,
un rischio (non una certezza).
Scostamenti
significativi evidenziano anomalie da sottoporre ad approfondimenti
(che potrebbero riguardare il singolo contratto, ma anche una data
amministrazione, o un'area territoriale). Nell’ambito di questa
strategia, si potrebbero anche progettare programmi informatici che
ricevono in modo impersonale e continuativo i dati di cui sopra,
consentendo così di evidenziare in modo automatizzato le situazioni
di anomalia: un sistema analogo a quello denominato Gianos, che
funziona bene per la rilevazione delle operazioni bancarie e
finanziarie sospette di riciclaggio.
FRANCO
ROBERTI
Procuratore
Nazionale Antimafia (2013-2017)
Fonte: Osservatorio Antimafia del Molise
(by Nicola)
Fonte: Osservatorio Antimafia del Molise
(by Nicola)
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