martedì 7 marzo 2023

CRIMINI AMBIENTALI. COSA SI PUÒ FARE?

 

La proposta dell'autore poggia su quattro temi che forniscono altrettante lenti per interpretare i crimini ambientali, in questo caso in particolare il cambiamento climatico:

 

  1. In primo luogo, il rilievo criminale di un atto deve essere valutato in relazione al danno che questo produce, a prescindere dalla sua definizione giuridica. In tema di crimini ambientali questo ragionamento è cruciale: spesso i danni all’ambiente sono considerati “accettabili” perché conseguenze di attività economiche che producono benefici. Per dirla in modo diverso, la protezione dell’ambiente si colloca su una bilancia tra opposti interessi (ad esempio lavoro e salute) che giustificano una certa quantità di inquinamento per raggiungere altri obiettivi ritenuti prioritari;
  2. Un secondo tema è la necessità di una prospettiva in grado di cogliere la dimensione globale dei comportamenti e la loro interconnessione. Ovviamente il cambiamento climatico e il riscaldamento globale sono per definizione fenomeni che investono l’intero pianeta. Tuttavia, ad essere diverso è l’impatto ecologico e sociale. È opinione comune tra gli scienziati che le conseguenze più gravi del cambiamento climatico riguardino i paesi e le zone del pianeta che meno hanno contribuito a esso e che si presentano meno attrezzate a fronteggiarlo;
  3. Una terza questione riguarda l’individuazione delle cause e le concrete conseguenze del cambiamento climatico. Ciò significa affrontare, da una parte, la questione della responsabilità (e dunque della colpevolezza) e, dall’altra, interrogarsi su chi è la vittima;
  4. Infine, White riserva una riflessione a sé sulle condizioni strutturali insite nel modello di sviluppo capitalistico e tardo capitalistico che hanno determinato e determinano lo sfruttamento incondizionato di risorse e la messa in pericolo degli ecosistemi e della stessa sopravvivenza dell’uomo. Le grandi corporation, spesso supportate dalle azioni dei governi, non solo hanno tratto un profitto considerevole da pratiche economiche predatorie, ma sono riuscite ad allontanare da sé la responsabilità per le conseguenze di tali azioni.

Se guardiamo, come suggerito da White, al modo in cui i responsabili dei danni ambientali riescono ad allontanare da sé la reazione sociale o la sanzione formale, troviamo:

  • La negazione della responsabilità: il cambiamento climatico è un fenomeno naturale che non deriva dall’azione dell’uomo;
  • La negazione del danno: i disastri ambientali sono eventi ciclici nella storia evolutiva del pianeta e pertanto naturali;
  • La negazione della vittima: le conseguenze disastrose dell’inquinamento, soprattutto nei paesi più poveri, non sono affatto il risultato del sistema di produzione predatorio ma, piuttosto, dell’incapacità di quei paesi di stare al passo;
  • La condanna di chi ti condanna: attacchi e tentativi di delegittimare gli scienziati che si occupano di cambiamento climatico;
  • L’appello a più alti ideali: gli interessi dell’economia devono prevalere sul resto perché essenziali alla sopravvivenza economica o alla supremazia del proprio paese.

Il risultato netto è l’incapacità (la non volontà) di affrontare i fattori chiave che contribuiscono ad aggravare la situazione, mentre eventuali critiche sono sfidate attraverso tecniche di greenwashing utili, da un lato, a preservare la rispettabilità degli attori coinvolti e dall’altra, a tacitare le proteste dei gruppi ambientalisti. Il greenwashing, in quest’ottica, può essere considerato un’ulteriore tecnica di neutralizzazione, parte integrante della retorica pubblica sui temi ambientali, che alimenta la falsa rappresentazione delle imprese e dei governi come attori preoccupati delle questioni green. 

 

In conclusione: 
Bisogna "prendere le comunità sul serio” ossia costruire progetti con (e non su) le comunità contaminate, non per dare loro voce, ma per costruire insieme percorsi di ricerca e modelli di intervento

 

Fonte: lavialibera

 

(by nicola)

 

 

Nessun commento:

Posta un commento