mercoledì 9 ottobre 2019

“Duro” o “ostativo”: pro e contro




Le Corti internazionali di giustizia stanno dando sempre maggiore prova della loro incapacità a valutare le reali condizioni di singoli paesi, emettendo sentenze frutto di argomentazioni teoriche senza alcun rapporto con la realtà.
Sorprendente è la sentenza della Corte dei Diritti dell’uomo di Strasburgo che ha accolto le richieste del capo mafia Marcello Viola, il quale era già stato condannato in Italia a 4 ergastoli.
Secondo la Corte di giustizia la condanna al carcere “duro” o “ostativo”, cioè a vita e senza nessun altra possibilità di beneficio, sarebbe disumana, perché toglierebbe anche la speranza di uscire dal carcere. La Corte non tiene conto del fatto che tale tipo di pena è evitabile se il mafioso condannato si pente e collabora con la giustizia.
La Corte confonde la disumanità del carcere con la speranza di venirne fuori. E dimostra di non conoscere che i nostri carceri sono tutt’altro che disumani, tranne alcuni casi che devono essere assolutamente risolti.
La Corte, inoltre, non valuta il fatto, storico e accertato, che i mafiosi mantengono per tutta la loro vita una convinzione non sradicabile di appartenere a una realtà sociale perennemente in contrasto con lo Stato e la legalità costituzionale.
Gli esempi sono numerosissimi. E, pertanto, cancellare la norma del carcere ostativo è fuori luogo.
In una parola, la Corde dei Diritti dell’Uomo ha deciso in assenza di potere e la sua decisione è da ritenere giuridicamente nulla.
Comunque, è da ricordare che le norme e le decisioni della Cedu sono norme “interposte” tra la Costituzione e la legge, il che significa che la Corte costituzionale può sindacare le decisioni della Cedu e dichiararle inapplicabili. La dizione “norme interposte” infatti significa che il giudice delle leggi, e cioè la Corte costituzionale, prima di decidere della validità o meno delle nostre leggi, deve stabilire se le norme e le sentenze Cedu siano conformi alla nostra Costituzione.
Insomma la Corte costituzionale ha giurisdizione sugli atti della Cedu (vedi sentenze 348 e 349 del 2007).
In conclusione, un compito importante grava oggi sulla Corte costituzionale, poiché se Essa non rimuove gli effetti di questa sentenza della Corte dei Diritti dell’Uomo, che ha competenza a farlo, vedremo che tutti i mafiosi ricorreranno alla Cedu ed otterranno la loro scarcerazione.
Un bell’effetto contro la lotta alla mafia e alla criminalità organizzata, posta nel nulla da una sentenza astratta della Cedu. La quale, ripetiamo, non valutato la natura e il contenuto del fatto oggetto della propria decisione.

Professor Paolo Maddalena
Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”


"L’articolo 117 della Costituzione vincola lo Stato italiano a rispettare la Convenzione europea dei Diritti umani e le sentenze della Corte di Strasburgo.". A ricordarlo è il presidente emerito della Consulta Giovanni Maria Flick.
C’è un po’ di Giovanni Maria Flick, del presidente emerito della Consulta che è stato anche guardasigilli, in una sentenza storica come quella sull’ergastolo ostativo. «Insieme con altri studiosi, avevo trasmesso alla Corte europea dei Diritti dell’uomo una valutazione in veste di amicus curiae, come avviene spesso per i casi sottoposti ai giudici di Strasburgo. Ebbene, ci eravamo permessi di sollevare un aspetto forse non sempre considerato, ossia la lesione che l’ergastolo ostativo produce anche rispetto alla competenza del giudice nella valutazione sull’effettivo recupero del condannato. E proprio la restituzione di tale piena potestà valutativa al giudice di sorveglianza è non solo un ritorno ai principi costituzionali, ma anche l’esclusione di qualsiasi rischio di mettere fuori i boss, come sento dire». Flick, naturalmente, non si sente affatto corresponsabile di una tremenda minaccia per la Repubblica: in una giornata storica per la civiltà del diritto, sa di aver cooperato a riaffermare il principio inviolabile della dignità.
Secondo l’articolo 117 della Costituzione siamo sottoposti agli obblighi derivanti dalla sottoscrizione di trattati internazionali. La Convenzione europea dei Diritti umani è un architrave di tale ordinamento sovranazionale: ne siamo vincolati e siamo dunque vincolati ad applicare le sentenze della Corte di Strasburgo. Nel caso specifico, considerato che il collegio ha dichiarato inammissibile il ricorso italiano, si afferma non un diritto di singole persone, ma un’indicazione vincolante a cui lo Stato deve uniformarsi. L’accesso ai benefici, per chi è condannato all’ergastolo, non potrà essere subordinato alla collaborazione. 
Ci sarebbe la possibilità di ricorrere al giudice affinché sollevi la questione di costituzionalità delle norme sull’ergastolo ostativo. Peraltro la stessa Corte costituzionale è già investita della valutazione sull’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, che preclude l’accesso ai benefici per alcuni reati, e già in quella sede, tra pochi giorni, potrà esprimere una valutazione adeguata. Ma posso muovere un’obiezione alla sua stessa domanda?
Nel senso che trovo difficile una contestazione formale dello Stato italiano rispetto a un giudizio con cui la Corte di Strasburgo evoca il problema della dignità.
La Corte dice che va contro la dignità della persona offrire un’unica alternativa al carcere a vita individuata nella collaborazione con la magistratura. Non so fine a che punto sia una considerazione compatibile con quanto previsto dalla Convenzione di New York contro la tortura. E comunque non credo sia necessario spingersi fino a tal punto. Anche perché la Corte ha richiamato l’Italia al rispetto di un ulteriore cardine del diritto penale, qual è la competenza esclusiva del giudice sulla valutazione del percorso rieducativo del condannato e sul suo possibile reinserimento.
Evidentemente sì: subordinare l’effettivo reinserimento sociale del condannato alla sua eventuale collaborazione significa avocare la valutazione che dovrebbe competere al giudice naturale precostituito, se possiamo così definirlo, che nel caso del detenuto è il giudice di sorveglianza. Si tratta di un’affermazione che risponde anche alla presunta grande incognita che questa sentenza, per alcuni, dischiuderebbe.
Al fatto che riconoscere la competenza del giudice di sorveglianza fa giustizia dei timori di veder liberate fiumane di mafiosi: sarà il magistrato, in ciascun singolo caso, a valutare se è effettivamente compiuto un processo di recupero.
Anche in relazione a una conseguenza, sottovalutata direi, dell’ergastolo ostativo. Vede, nel nostro ordinamento, nella nostra tradizione, il processo di cognizione ha come oggetto il fatto. La gravità della lesione al bene giuridico offeso. A essere giudicato non è il mafioso o il corrotto, ma il fatto. L’uomo viene in considerazione solo con l’esecuzione della pena. Con l’ergastolo ostativo si opera un capovolgimento, perché nella fase di esecuzione si continua a giudicare non l’uomo e il suo percorso, ma ancora il fatto. Solo che così un Paese trasfigura i connotati stessi del diritto penale.
Tanto più perché simmetricamente connessa al cosiddetto diritto penale del nemico. Al mantra del buttare la chiave, in cui il carcere non è estrema ratio, ma soluzione abituale e, inevitabilmente, discarica sociale. In tal modo il processo di cognizione, a sua volta, non giudica più il fatto ma l’uomo, mafioso o corrotto che sia, in quanto nemico a prescindere.

In un momento di eccezionalità qual è stato il ’ 93 forse l’ostatività poteva avere una spiegazione: ora non la si può comprendere. Così come mi sono sempre sentito in compagnia del Santo Padre, di Moro, di Napolitano, nel ritenere che l’ergastolo fosse una pena illegittima nella formulazione ma legittima nell’esecuzione finché è possibile avere una prospettiva di uscirne con la liberazione condizionale, quando si ritiene ragionevolmente che il condannato si sia rieducato. Con la scomparsa, provocata dal regime ostativo, di quel recupero di legittimità, io proprio non riuscivo ad accettare quell’illegittima dichiarazione che è il fine pena mai.

ERRICO NOVI - 'Il Dubbio'
 
(by Nicola)

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