lunedì 8 aprile 2019

«Voi siete la schifezza di Napoli». La nascita del movimento anticamorra in Campania - 3

Giovanni Senzani

La teoria della violenza sociale conferisce alla camorra cutoliana una specifica compatibilità con il terrorismo, non paragonabile a nessuna delle altre organizzazioni criminali. Per Cutolo i brigatisti sono «bravi ragazzi» con cui è possibile stabilire un’alleanza organica, ma fluida. Le ambizioni del boss e l’ideologia dei «giovani morituri» si adattano al tipo di lotta armata che Giovanni Senzani prospetta per Napoli: un terrorismo rivolto principalmente alle aree marginali del sottoproletariato, alle liste di lotta per il lavoro, ai senzatetto del centro storico. Camorra e Nuclei armati proletari (Nap) sono entrambi portatori di un disegno politico e sociale: fare leva sull’emarginazione dei devianti per contrattare nuovi spazi di potere (Cutolo) e colpire il sistema di potere nel punto più debole ed esposto (Senzani). Se la camorra arruola i giovani sbandati e dà loro un’identità, perché non provare a veicolare questa violenza verso la lotta armata? Senzani considera i ragazzi di malavita dei potenziali rivoluzionari al punto da arrivare a reclutare nelle carceri, terreno di coltura del potere camorristico, criminali comuni da affiancare ai terroristi. Nel biennio 1980-1982 alcuni obiettivi scelti dalla «colonna napoletana» sono rivolti, infatti, a creare consenso tra le fila della camorra. In definitiva, la criminalità organizzata campana si rivela sensibile e permeabile alle ideologie politiche estreme, di sinistra e di destra, che tentano di rappresentare il sottoproletariato napoletano e i suoi contraddittori interessi.

In una sentenza del Tribunale di Napoli si legge: la Nco è il «terrorismo del nostro sottoproletariato che, abbandonandosi al più assoluto qualunquismo politico, ritrova la propria identità di massa.» A questa nuova dimensione si adeguano anche gli avversari: la Nuova famiglia 23 amplifica la ferocia degli attentati praticando un «terrorismo interno alla camorra, con metodi e sistemi simili a quelli del terrorismo politico». Spuntano una selva di sigle: Giustizieri campani, Squadroni della morte, Brigate anticutolo (formazioni di killer reclutate, armate e finanziate dalla Nf) che rivendicano i raid contro i cutoliani, stampano volantini ciclostilati per esigere le estorsioni e recapitano comunicati agli organi di stampa, annunciando in anticipo l’esecuzione di un omicidio.

«E scoprirono tutti, cosa che per primo Cutolo aveva compreso, quale sia il valore della pubblicità per estendere il controllo sul territorio, quale effetto moltiplicatore possono avere i giornali, i mezzi di informazione». Del resto, Cutolo «è passato dalle migliaia di citazioni nei rapporti di polizia e nelle carte processuali, alle migliaia sui giornali.» Il suo carisma, la sua violenta smania di riscatto del popolo napoletano (riemerge in forma criminale il trauma storico dell’unificazione nazionale) attirano l’attenzione dei media. Don Raffaele è un personaggio mediatico: «sostituisce alla vecchia regola della clandestinità, il nuovo sistema della pubblicità». Con Cutolo l’immagine della camorra passa dall’ossimoro folkloristico del «guappo buono» alla violenza esibita come strumento di concorrenza criminale. Il «conflitto economico», che nel mondo delle imprese si configura come guerra commerciale, nell’universo della camorra «si trasforma subito in una faida tra clan che coinvolge decine di parenti, di amici, di clienti». Lo scontro tra Nuova camorra organizzata e Nuova famiglia dura un quinquennio (1978-1983) e lascia sul campo 1223 morti ammazzati, con una media annua di 244 omicidi. Il 66% delle esecuzioni avviene nelle periferie di Napoli o nell’hiterland metropolitano. Un ragazzo di Ottaviano, intervistato da Luca Rossi, dice «Tutti hanno paura. Si cagano sotto. Perché qui c’è quella cosa là». Si respira un clima da «strategia della tensione»: può essere colpito chiunque, ovunque, in qualsiasi momento. L’atmosfera è quella dei contesti di guerra, al calar del sole scatta il coprifuoco: «Quando chiudo il cancello la sera penso sempre che ce l’ho fatta.»

(continua)

Autore: Marcello Ravveduto

(by Nicola) 

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