venerdì 5 aprile 2019

«Voi siete la schifezza di Napoli». La nascita del movimento anticamorra in Campania - 1


“You are the filth of Naples”.

The birth of the anti-Camorra movement in Campania



Parole chiave :

mobilitazione civile, violenza, anticamorra, Chiesa, studenti


A Napoli, negli anni Settanta, il contrabbando di sigarette è un fenomeno sociale legittimo, anche se illegale. Tra contrabbandieri e istituzioni esiste un «patto» non scritto in base al quale tutto è consentito, fin quando l’ordine pubblico non è turbato. Il boss Michele Zaza, affiliato a Cosa nostra, si vanta di essere l’Agnelli napoletano. La sua «impresa» è come la Fiat: tra organizzazione e indotto vivono 700 mila persone. Alla fine del decennio, però, il contrabbando entra in crisi a causa dell’incremento dei costi di gestione che rende necessario riconvertire l’organizzazione verso il trasporto di merci più remunerative: armi e droga. Nel film I contrabbandieri di S. Lucia si può vedere il processo di ristrutturazione in atto: Francesco Autiero (Mario Merola) comanda le paranze del contrabbando e non vuole avere rapporti con chi commercia la droga; Michele Vizzini (Antonio Sàbato), invece, importa eroina dal Medioriente e ha bisogno della rete logistica di Autiero per i suoi traffici. Il mafioso, conquistata la fiducia del guappo, comincia a far girare la droga nel quartiere, provocando la morte di una bambina. A quel punto scatta la vendetta: l’uomo d’onore si allea con l’Fbi e vola a New York per regolare i conti con il narcotrafficante. Il film ruota intorno agli stereotipi dell’immaginario folklorico napoletano, ma, nel nostro presente, è una fonte audiovisiva che racconta la crisi di crescita della camorra. La droga impone nuovi modelli organizzativi, fa emergere una giovane classe dirigente criminale, prescrive un uso strategico della violenza e richiede la capacità di gestire relazioni con network internazionali.

La trasformazione avviene negli stessi anni in cui stanno cambiando gli assetti urbanistici e sociali dell’area metropolitana. La popolazione di Napoli, tra il 1951 e il 1971, aumenta di 216.044 abitanti. L’epidemia di colera dell’agosto 1973 è il sintomo di una sconfitta. La classe dirigente democristiana è al collasso. Alle elezioni comunali del 1975, infatti, il Partito comunista italiano conquista la maggioranza (32,3%). Il sindaco Maurizio Valenzi si impegna a migliorare le condizioni igieniche e ambientali della città costruendo aree di edilizia popolare in cui si concentrano i ceti meno ambienti della città. Si aggregano vere e proprie regioni morali in cui la socializzazione è sussidiata dalla solidarietà dell’habitat partecipando ai valori, condividendo i comportamenti e mostrando lealtà alla visione extra legem della comunità. L’introversione della prossimità genera un mondo chiuso, criminogeno: i casermoni delle periferie, la case popolari dell’hinterland e i vecchi quartieri del centro storico sono i principali luoghi di formazione della nuova delinquenza.

A cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, Napoli diventa una città-regione: una conurbazione tentacolare, con un raggio di quaranta chilometri, che moltiplica i problemi del capoluogo in un continuum urbanistico di tre milioni di abitanti. Un agglomerato densamente abitato che nell’immaginario collettivo assume le caratteristiche di un Bronx in cui collocare gli «scarti umani» del processo economico. 
La «camorra moderna» è l’esito di «questo particolare disastro urbano». Un universo degradato che, con il terremoto del 23 novembre 1980, sale alla ribalta della cronaca nazionale come una Giungla d’asfalto in cui si fronteggiano voraci predatori urbani. Prendiamo il caso delle Vele di Scampia, veri e propri rioni verticali. I primi arrivi risalgono al 1976, ma dopo il terremoto il quartiere è preso d’assalto: agli aventi diritto si aggiungono famiglie dell’hinterland o del centro storico alla ricerca di «un posto dove stare». Gli edifici sono occupati da terremotati in attesa di alloggio e da famiglie disperate che si sistemano persino nei sottoscala. Nel 1982 così le descrive Attilio Veraldi nel romanzo 'Naso di cane':



"una spianata enorme di melma 
attraversata da veri e propri camminamenti,

precari quanto spesso a loro volta impraticabili, 
che portavano a vari edifici, 
alti fino a quindici piani e privi di riscaldamento 
ed ascensori [...]. In tanto spazio

s’era verificata un’imprevista mancanza di spazio, 
che a sua volta aveva ricreato

una situazione identica a quella dalla quale tutti, 
legittimi assegnatari e esasperati usurpatori, 
avevano in sostanza cercato di fuggire."


Il protagonista del romanzo è il simbolo della mutazione: Ciro «naso di cane» è un giovane cresciuto nello sconquasso della periferia il cui orizzonte «professionale» non è il contrabbando o qualche mestiere illegale ma il raggiungimento dello status di killer: «Siamo in presenza di una prima generazione di delinquenti professionisti usciti da poco dall’adolescenza o dal compimento della maggiore età che si trova ad essere inquadrata e diretta da un’élite di capi camorra più anziani e relativamente bene organizzati».

(continua)

Autore: Marcello Ravveduto

(by Nicola) 

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