mercoledì 10 aprile 2019

«Voi siete la schifezza di Napoli». La nascita del movimento anticamorra in Campania - 4


La paura è un sentimento palpabile: «Quando torno dalle vacanze [...] mi viene da piangere. Vedo questa cappa di foschia e cemento, e penso che devo tornare a vivere lì, e mi sembra di morire. Voi non potete nemmeno immaginare cos’è [...] il paese è integralmente nelle mani della camorra». Un disinibito disprezzo della vita provoca un terrore massificato e imprevedibile: basta un sospetto di abboccamento con l’avversario e si finisce morti ammazzati. Nessuno è immune, ognuno è vittima potenziale. Diamo uno sguardo alle statistiche: se tra il 1967 e il 1977 le vittime innocenti della camorra sono 5, tra il 1978 e il 1983 diventano 37 con un incremento del 640% in soli cinque anni. Dunque, a differenza di quanto scrive Indro Montanelli, il cui pensiero è spia di un diffuso atteggiamento culturale nei confronti delle mafie, i camorristi non si mangiano tra loro come tribù di «cannibali», ma hanno travolto nella loro guerra anche le comunità circostanti. Anzi la necessità di controllare gli appalti pubblici attraverso gli enti locali, specialmente dopo il terremoto, provoca un’onda di attentati contro consiglieri comunali, assessori e sindaci. Tra il 1978 e il 1983 sono 4 i pubblici amministratori assassinati, tutti nei comuni dell’hinterland. Non importa il colore politico, ciò che conta è l’eliminazione dell’ostacolo al pieno dispiegarsi del «governo della camorra». In particolare l’omicidio di Marcello Torre (11 dicembre 1980) ha un valore emblematico: la camorra giustizia, pochi giorni dopo il terremoto, un sindaco (non era mai accaduto prima), che si oppone alla gestione mafiosa della ricostruzione, con un intento pedagogico eversivo: «colpirne uno per educarne cento» .

Qual’è la reazione a tanta violenza? In Campania, a differenza della Sicilia, non esiste una tradizione di lotta civile contro i fenomeni mafiosi. La camorra non è considerata alla stregua della mafia. La legge antimafia del 1965, che destina boss e affiliati al domicilio coatto, è applicata solo parzialmente sul territorio regionale a partire dal 1972. Il primo soggetto a mobilitarsi è il sindacato che si è scontrato con la camorra sui luoghi di lavoro subendo gravi perdite. Nella primavera del 1980 si tiene un convegno a Nocera Inferiore in cui Cgil, Cisl e Uil propongono la:
costruzione di un sistema di alleanze 
che vedano come essenziali protagonisti,

accanto a sindacati, a partiti progressisti, 
a Magistratura democratica,

direttamente le figure sociali dalla cui unità 
o meno dipende la possibilità 
di creare quel blocco sociale alternativo 
in grado di lottare non contro il camorrista,
ma contro la camorra, vanificandone la sua funzione.

I giudici di area Pci partecipano all’incontro rilevando un nuovo atteggiamento della «classe operaia» che ha superato le vecchie diffidenze verso la magistratura per il bene superiore della democrazia repubblicana. Il pretore Gennaro Marasca evidenzia, inoltre, che le analogie tra violenza criminale e politica richiedono strumenti similari di repressione. Camorra e terrorismo impediscono «lo sviluppo di ogni processo democratico», sono forme di eversione contrarie al dettato costituzionale. Per tale ragione, è necessario stabilire una collaborazione tra istituzioni e «organizzazioni rappresentative di interessi collettivi [...] per affrontare con successo i problemi della violenza e del terrorismo». La camorra – aggiunge Massimo Amodio, segretario regionale di Magistratura democratica – è lo strumento di un «certo potere» che vuole frenare la trasformazione civile del Paese «nel senso voluto dalla Costituzione Repubblicana». Nelle conclusioni Mario Garimberti, dirigente nazionale della Cgil, propone di aprire una «vertenza contro la camorra» al fine di promuovere «una partecipazione di massa» in grado di «spostare in avanti l’iniziativa del sindacato». La mobilitazione, però, deve anche innescare un’analisi più accurata del fenomeno considerandolo un fattore storico «condizionatore del potere politico, economico ed istituzionale». La necessità di sviluppare una riflessione sulle cause che alimentano la criminalità organizzata, conduce la Cisl, in collaborazione con la Fondazione Domenico Colasanto, a costituire nel 1981, affidandone la direzione al sociologo Amato Lamberti, l’«Osservatorio sulla camorra». La struttura si propone come «punto di riferimento» di enti, associazioni, istituti e centri di ricerca che da un lato vogliono «approfondire la conoscenza» del «fenomeno» con indagini «territoriali», dall’altro tenere alto il «livello di attenzione» dell’opinione pubblica sulla pericolosità, sulle collusioni e sugli affari dell’organizzazione criminale. Lo strumento di confronto pubblico è il bollettino quadrimestrale. Nel primo numero Lamberti traccia la linea da seguire:
La prima operazione da compiere [...] 
è quella di sgombrare il campo 
dagli equivoci che comporta 
l’utilizzazione del termine «camorra» 
per indicare un fenomeno – quello della criminalità organizzata – che non ha alcuna somiglianza,

né sul piano della struttura organizzativa, 
né su quello della legittimazione sociale,

con l’organizzazione malavitosa che, 
da quasi un secolo, 
sopravvive solo nella letteratura d’appendice.

(continua)

Autore: Marcello Ravveduto

(by Nicola)  

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