giovedì 18 aprile 2019

«Voi siete la schifezza di Napoli». La nascita del movimento anticamorra in Campania - 6


E il mondo cattolico? La Democrazia cristiana permane in uno stato d’imbarazzante silenzio. Del resto, lo scandalo provocato dal rapimento di Ciro Cirillo ha zittito anche le poche voci dissidenti. Certo c’è il dinamismo della Cisl, ma l’unitarismo dell’azione sindacale la rende un soggetto assimilabile alla galassia che ruota intorno al partito comunista. Non rimane che la Chiesa, ma parte da una posizione svantaggiata: deve scontare il pregiudizio dei comunisti e il silenzio di molti parroci dinanzi alle magnanime offerte dei camorristi in occasione delle feste patronali e delle celebrazioni sacramentali. Ad Acerra, però, dal 1978 c’è un vescovo di fresca nomina, Antonio Riboldi. È lombardo ma arriva dalla Sicilia, da Santa Ninfa precisamente, dove, da parroco, ha guidato i fedeli contro mafiosi e politici corrotti per impedire che si spartissero i finanziamenti destinati alla ricostruzione del Belice, colpito dal sisma nel 1968. Da «don terremoto» a «vescovo anticamorra» il passo è breve: «Ai primi degli anni Ottanta [...] venne la mattanza. I morti si contavano due al giorno [...] tutti dovevano camminare in punta di piedi, non parlando, quasi non pensando, per non essere colpiti». L’11 dicembre 1981 Papa Giovanni Paolo II rivolgendosi ai vescovi siciliani scrive: «Esistono purtroppo alcuni fenomeni aberranti [...]. Si tratta di quella mentalità o struttura mafiosa che [...] pretende di fare a meno della legge e di poterla impunemente violare; di qui il moltiplicarsi della violenza e degli omicidi i cui mandanti ed esecutori sono protetti dall’omertà». E conclude: «occorre reagire, non bisogna assolutamente rassegnarsi! [...] bisogna aiutare i fedeli a formarsi e a maturare una retta coscienza etica». Don Riboldi, che ben conosce la realtà siciliana, comprende che è arrivato il momento di schierarsi. È il natale 1981 quando, ai fedeli riuniti per la messa di mezzanotte, dice: «Non è possibile intrattenerci qui sentimentalmente sul Natale […] quando si vive in mezzo alle pistole, in mezzo alla violenza». Da quel momento non si ferma più. Diventa un vero e proprio testimonial della lotta contro la camorra: rilascia interviste, partecipa a convegni, guida cortei, scrive editoriali, convoca riunioni. Qual è il pensiero di don Riboldi? La camorra, negli anni del benessere, si è tramutata in una «multinazionale della delinquenza». È un’organizzazione mafiosa che ha una sua legalità all’interno di un sistema di regole criminali. Un ordinamento strutturalmente avverso ai Comandamenti che vuole farsi cultura per imporre con il terrore un modo di esistere «inumano». La camorra è «“dentro” e “contro” il tessuto umano e culturale d’un popolo». Dentro perché sfrutta l’insicurezza e l’emarginazione per occupare gli spazi lasciati vuoti dalla società; contro perché ogni sua attività è una sopraffazione della libertà di esprimersi. Perciò mafiosi e camorristi peccano contro Dio e contro l’uomo. Sono portatori di «un’eresia» che non ha nulla in comune con la comunità cattolica. «Si è parlato di scomunica. Ma questi uomini sono già fuori». Chi proclama la morte è naturalmente avverso alla comunione cristiana: «Se la parola scomunica vuol dire questo, ecco, la scomunica c’è già». Tocca agli «uomini di buona volontà» reagire al clima di terrore. Come? Scendendo in strada, riconquistando il territorio, occupando lo spazio pubblico che è diventato «teatro» di omicidi e luogo d’esercizio di una «dittatura» Il potere della camorra, secondo don Riboldi, «c’interroga in maniera perentoria sul nostro modo di essere Chiesa in Campania», ma soprattutto «ci sfida ad [...] un’autentica proposta di civiltà, ad essere non solo credenti, ma credibili». La posizione del vescovo di Acerra si sposa con l’azione della Caritas campana che intende studiare le forme della violenza organizzata e le cause che la generano per organizzare una risposta civile della Chiesa attraverso l’azione pastorale delle parrocchie. È in questo contesto che fiorisce il Documento contro il fenomeno della camorra della Conferenza episcopale campana. L’esortazione iniziale è affidata ad un verso del profeta Isaia: «Per amore del mio popolo non tacerò». I Vescovi ritengono la camorra «una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella nostra società campana». È un’organizzazione criminale che «ha sempre cercato di nobilitarsi dandosi una ideologia e cercando di imporla quasi come interpretazione della cultura della gente della Campania». È un sacrilegio ideologico che chiama famiglia un clan mafioso, che considera virtù la forza bruta, che identifica l’onore con l’orgoglio della vendetta, che qualifica l’estorsione come un atto di giustizia, che pretende di avere una sua religiosità strumentalizzando «la funzione del padrinato nei sacramenti». Di fronte a tutto questo la Chiesa non può tacere e deve intervenire per demitizzare e isolare la camorra, rinnovare la proclamazione del Vangelo, educare alla verità e alla giustizia, predicare il perdono, sostenere la testimonianza dei pastori, e soprattutto «non permettere che la funzione di “padrino”, nei sacramenti che lo richiedono, sia esercitata» dai camorristi, né «celebrare con solennità la liturgia funebre per coloro che notoriamente siano stati legati alla camorra». In sostanza, se il Pci è il riferimento politico, la Chiesa è il rifermento morale della lotta alla camorra.


(continua)

Autore: Marcello Ravveduto

(by Nicola)

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