sabato 6 aprile 2019

«Voi siete la schifezza di Napoli». La nascita del movimento anticamorra in Campania - 2


In questo contesto nasce la Nuova camorra organizzata (Nco) di Raffaele Cutolo che sfida le famiglie storiche del contrabbando. La Nco è un paradosso del crimine organizzato, un ibrido: è più camorristica perché trasforma l’estorsione in fenomeno di massa; è più mafiosa perché è governata da un’oligarchia economica e militare; è più terroristica perché ha una direzione strategica e giustifica il ribellismo dei giovani devianti. Cutolo veste i panni del leader ideologico. A Joe Marrazzo, che lo intervista, dice: «Sono figlio di contadini e sono orgoglioso. Quindi se io c’ho dei soldi li mando all’umanità sofferente; [...] Sono un uomo che a modo mio sto contro la società. […] Sono un uomo che combatte contro le ingiustizie». E quando il giornalista gli chiede: «Un Robin Hood, diciamo?», il boss risponde assertivamente: «Diciamo». La sua propaganda si ispira al modello del bandito sociale: «Anche se in effetti egli prescinda da motivi di protesta sociale, la pubblica opinione sarà convinta del contrario, cosicché anche un autentico delinquente professionale potrà arrivare a carpire il favore generale». La sua magnanimità è ostentazione del potere: «le ingenti spese del bandito [...] anziché allontanarlo dai suoi ammiratori, lo legano ad essi, sempre che egli non si allontani troppo dal ruolo eroico che gli è stato attribuito.» Di fronte alla massa dei giovani devianti, don Raffaele è il ragazzo povero che ha fatto fortuna elevandosi dalla miseria, dall’abbandono e dalla rassegnazione. Per molti affiliati è un vero padrino (che battezza e guida il figlioccio) e la Nco è una ideologia. Cutolo incontra in carcere i giovani delle periferie criminogene e dà loro un credo, una bandiera, convincendoli che la violenza camorristica è l’unica via per il benessere economico e il prestigio sociale. Qual è il credo? Innanzitutto la contrapposizione agli «stranieri», in particolare ai mafiosi siciliani che, grazie al contrabbando, hanno «colonizzato» Napoli e la Campania. Scrive Cutolo: «abbiamo dimostrato e rivelato quale sia la forza del nostro animo e del nostro carattere che rinnovando i fasti antichi di Napoli e della Campania abbiamo restituito un popolo alla sua dignità». E ancora: «Il giorno in cui la gente della Campania capirà che vale più un tozzo di pane libero che una bistecca da schiavo, quel giorno la Campania ha vinto veramente.» Riferendosi invece agli avversari, alleati di Cosa nostra, dice: «Per me erano “mezzi mafiosi” perché prendevano ordini dai capi siciliani, vendendosi così la loro terra.»

È da notare l’uso dell’identità regionale come elemento aggregante. Cutolo è il primo che sfrutta il campanilismo per costruire una piattaforma politica su basi delinquenziali. La Nco è l’espressione di una delinquenza-massa, una specie di movimento collettivo della gioventù campana violenta e sbandata. Un partito del crimine fondato sull’ideologia della violenza. Il boss di Ottaviano è affetto dalla «sindrome di Spartaco»: emerge dalle schiere camorriste mettendosi a capo degli emarginati dal benessere mafioso. È il leader della manovalanza criminale la cui vita non è valutata in base alla dignità umana ma in base al valore economico. Solo grazie a una lotta sanguinaria questi «gladiatori» (comunque destinati alla morte) possono aspirare alla libertà: ogni battaglia, ogni vittoria, ogni «romano» massacrato è un passo verso la costruzione di nuovo regime criminale. Don Raffaele si presenta al popolo degli «schiavi della camorra» come un liberatore. Un capo carismatico in grado di indicare un destino migliore a una massa di capi e capetti senza identità, incapaci di pensare a un’organizzazione moderna, autonoma e indipendente dal notabilato criminale. È la sfida tra due modelli organizzativi alternativi che si confrontano sulla base di una logica manichea: innovatori contro conservatori, entrambi convinti di avere la ragione dalla loro parte. Ecco cosa dice un giovane cutoliano intervistato da un giornalista di «Panorama»: «Andiamo soltanto incontro alla morte. Che viviamo a fare qui, qui viviamo malamente, la vita degli uomini qui vale zero. Io quello che ho visto nei miei ventitré anni mi basta e sono già morto. Adesso sto vivendo un di più, una vita regalata. Se vogliono uccidermi, che mi uccidano, quello che ho visto mi basta.» 

(continua)

Autore: Marcello Ravveduto

(by Nicola) 

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