mercoledì 30 dicembre 2020

IL LAVORO VALE LA SALUTA DELLE PERSONE E DELL'AMBIENTE? IL CASO ILVA

800 ettari di olivi abbattuti per realizzarla! 30.000 tonnellate di inquinanti scaricati nel suolo, in acqua e nell'aria.

Dopo oltre 50 anni di attività il problema ILVA è ancora irrisolto. Per colpa di chi?

La soluzione è una e una sola: chiudere l'ILVA.

E poi? Se avessimo una classe politica degna di tale nome basterebbe attuare il progetto al quale ha lavorato il ns. amico Angelo Consoli e denominato 'Taranto Tri.0'
 

 Video

https://www.facebook.com/altrimediaedizioni/videos/3031634703731822 

(by nicola)

 

martedì 29 dicembre 2020

lunedì 28 dicembre 2020

"Se volete davvero giustizia e verità, potete anche prendere questo post e portarlo al Prefetto di Isernia, passando per la locale Procura della Repubblica, e spiegando a quegli uffici che il tempo dell'attesa è finito"

Nessun allarmismo? E cosa vi devono fare per per farvi allarmare? Cosa dice ARPAM? Che le categorie delle polveri totali sono tre, ma poi cita solo le prime due, e cioè PM10 PM2,5. Ci sarà un motivo perché non parlano mai di PM1 o PM0,1. Insomma, non serve a niente fare gli interlocutori di questi enti strumentali. Loro di voi non sanno niente, come non sanno niente neanche di noi del centro Molise. Pensate che tra Bojano e Spinete, nel solo anno 1986 hanno consentito che si bruciassero 14 milioni di chili di rifiuti, tra i quali 4 milioni di chili di fanghi di raffinerie, 8,3 milioni di chili di acque provenienti da industria chimico-farmaceutica. Si appurò, poi, nel corso di un giudizio, che quei rifiuti accedevano nel Molise grazie a FIR (formulari identificativi rifiuti) falsi, molti dei quali non solo non potevano arrivare qui da noi, ma non potevano nemmeno lasciare il luogo di produzione. Si seppe da un perito del Giudice che: "...le concentrazioni illegittimamente permesse dalla Regione per questo impianto (cfr. quello esaminato dai periti del Giudice) comportano un'emissione in atmosfera di sostanze tossiche e cancerogene molto superiore 1) a quanto sarebbe avvenuto se i rifiuti fossero stati inceneriti in un impianto che rispettasse i limiti di legge. 2) alle quantità che avrebbero dovuto essere consentite in base alle reali emissioni del processo produttivo in assenza di alimentazione con emulsioni esauste". E poi si citavano i falsi riscontrati nella documentazione esaminata, tra i quali anche quelli riferibili ad un alto dirigente regionale. Secondo ArpaM la nostra zona è monitorata dalla centralina di Venafro (non so se la seconda è attiva e non me ne curo più di controllare), ciò significa che se la valle di Bojano è monitorata in questo modo vuol dire che quelle sostanze tossiche e cancerogene dei primi anni '80, e fino ai primi anni 2000, arrivavano anche da voi. Ora forse è più chiaro perché nessuno studio epidemiologico ed eziologico vi può dire cosa è successo in quegli anni e nei successivi, visto che eravamo esposti a sostanze verosimilmente ecotossiche. Praticamente la gente di allora le respirava e i loro figli e nipoti hanno buone possibilità di ammalarsi di cancro. E voi gli inceneritori li avete ancora attivi in prossimità delle vostre case. Di cosa potete parlare con questa gente che sa benissimo di non sapere niente sugli effetti derivati da quelle esposizioni a sostanze cancerogene incontrollate? A Venafro, come a Bojano e zone limitrofe dovrebbe essere proibito anche il fumo delle sigarette nelle strade. Invece consentono ancora l'incenerimento di rifiuti. E dire che la Procura di Campobasso sapeva dal 1994 che quell'attività di incenerimento nei pressi di Bojano non poteva essere autorizzata. Qualcuno è stato associato alle patrie galere? Nessuno. Ditemi voi se ci può essere una serena interlocuzione con questi attuali enti strumentali che, comunque, sanno quale disastro ambientale c'è stato sulla nostra terra, ma non lo studiano né indicano possibili protocolli sanitari di contenimento delle conseguenze. Ora, se volete davvero giustizia e verità, potete anche prendere questo post e portarlo al Prefetto di Isernia, passando per la locale Procura della Repubblica, e spiegando a quegli uffici che il tempo dell'attesa è finito.

Fonte: blog Alfonso Mainelli

(by nicola)

domenica 27 dicembre 2020

Cosa possono fare i Paesi del Mediterraneo contro la globalizzazione dei mercati che sta distruggendo le economie locali di tutto il mondo?

Se vi dicessero che siamo in guerra e che le politiche di austerità imposte in Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Cipro stanno portando al collasso l'economia del Sud-Europa? Il progetto europeo, nato con nobili finalità, ha in realtà consegnato la nostra sovranità all'oligarchia dei burocrati di Bruxelles guidati da potenti lobby delle multinazionali. La Germania ha perso le due guerre mondiali ma sta vincendo questa guerra silenziosa con la potente arma dell'euro. Il libro racconta cosa è accaduto nei primi anni della crisi economico finanziaria nei paesi del sud-Europa, insieme agli effetti che questa crisi sta avendo sulla vita di milioni di persone e fa luce su come a dichiarare guerra sia stata quell'élite economico finanziaria che sta cercando di preservare e accrescere l'enorme potere accumulato grazie a speculazioni finanziarie e alla collusione con il potere politico. Ma se questa è la storia presente, il futuro da costruire deve necessariamente passare attraverso un rafforzamento dei Paesi Sud-Europei con una forte alleanza mediterranea capace di rompere con il modello economico neo-liberista per puntare sui valori della solidarietà e della cooperazione. C'è bisogno di mediterraneità come filosofia di vita, c'è bisogno di un Nuovo Rinascimento Mediterraneo in cui l'Uomo e la Natura ritornino ad essere l'orizzonte principale di qualunque scelta. Siamo sull'orlo dell'abisso e non possiamo fare altro che impugnare l'arma della verità per cambiare il corso della nostra storia.

https://www.facebook.com/lexmovimentoreligioso/videos/233576174816441 

(by nicola) 

sabato 26 dicembre 2020

Cinepanettone 'rosso' ma di vergogna

Vi posto il link della pagina del Dipartimento per le Politiche Europee -http://www.politicheeuropee.gov.it/it/tags?tag=Piano%20nazionale%20di%20ripresa%20e%20resilienza&fbclid=IwAR0KWwppwh70klHE45hOCZqR8HchH9gLDkC1bjVBpwgsWdgno9a-ec1xP_U  - nella quale troverete gli altri link per accedere alle informazioni di base sul PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), e cioé il Piano di ripresa economica del'Italia dopo il disastro causato dalla pandemia. E' uno strumento complesso che sarà costruito sulla base di alcune linee guida già approvate nei suoi contenuti essenziali dal Comitato interministeriale per gli affari europei del 9 settembre scorso, in coordinamento con tutti i Ministeri e le rappresentanze delle Regioni e degli Enti locali, e trasmessa alle Camere il 16 settembre 2020. Quindi, come si vede, le Regioni ne hanno già discusso nelle sedi istituzionali. In un commento, poi, abbiamo allegato uno stralcio da un post della Fanelli, dal quale si rilevano cose che davvero fanno sorridere per quanto sono improbabili. Innanzi tutto, per il solito presenzialismo tarato su un pubblico di bocca buona, si cerca di far credere che nel "webinar", che poi sarebbe un incontro interattivo su internet, organizzato dalla CGIL, sarebbero state avanzate "idee che si inseriscono nella discussione nazionale". Ora, ci saranno sicuramente molti che ci crederanno pure all' inserimento "nella discussione nazionale", ma chi vorrà approfondire utilizzando la pagina del Dipartimento e i link in essa contenuti, si renderà subito conto che le chiacchiere dei webinar della CGIL + Fanelli saranno al massimo buone per i creduloni locali, ma non certo per chi le cose le vuole capire seriamente e al di fuori dai luoghi comuni e dalle manfrine preelettorali. Ma l'apice di questo cinepanettone politico nostrano lo si ritrova nella parte del post della Fanelli in cui si dice che la stessa è stata invitata dalla CGIL, bontà loro, "...per illustrare le proposte e i progetti avanzati dalla Giunta regionale...", e naturalmente per formulare valutazioni ecc. ecc. Ora, vien da pensare: ma è mai possibile che il PD e la CGIL siano scesi a questo livello? Infatti, se la CGIL davvero voleva capire proposte e progetti avanzati dalla Giunta Regionale nell'ambito del percorso verso il PNRR avrebbe dovuto invitare almeno l'Assessore regionale al ramo, caso mai affiancato da qualcuno che, eventualmente, esprimesse una diversa impostazione della tematica, ma certamente non doveva escludere l'Istituzione che quelle proposte e quei progetti li ha fatti propri. Insomma, è uno dei soliti pateracchi di personaggi mediocri che temono i confronti, specialmente quando potrebbero rivelarsi troppo impegnativi. E probabilmente Toma non interloquisce con loro, anche se ha smentito questa accusa dei sindacati, proprio perchè sa che è solo tempo perso con persone abituate a discutere di cose che non conoscono come si dovrebbe. Insomma siamo davvero alle comiche preelettorali, e dispiace che un sindacato con una storia gloriosa, qual è la CGIL, si presti a queste cose. Non dimentichiamo che Fanelli la conosciamo perchè, da delegata dalla Confindustria locale in sedi istituzionali, richiedeva la realizzazione di inceneritori per rifiuti industriali nel Molise, un simile punto programmatico lo aveva inserito anche nel suo programma alle provinciali del 2011, ma, principalmente, ricordiamo i pareri di coerenza dell'art. 15 resi in qualità di membro del Nucleo di Valutazione e Verifica degli Investimenti Pubblici. La CGIL rifletta su queste cose, e in particolar modo mediti sulla questione avicola molisana invece di portare in processione soggetti che hanno grandi responsabilità nello sconvolgimento dell'economia regionale.

Fonte: blog Alfonso Mainelli

(by nicola)

venerdì 25 dicembre 2020

La storia non si cambia chiedendo permesso. Neanche in Molise!

Il Matese è la più grande azienda inattiva del Molise, e se non si comincia a ragionare in termini di sistemi integrati i risultati di gestione saranno sempre più negativi. Oggi si utilizzano modelli matematici per "misurare" su piani cartesiani i progetti di sviluppo, ma noi siamo praticamente fermi al foglio e matita. Abbiamo tre società legate alla montagna, interamente pubbliche (tranne che per un irrisorio 3,22%) e controllate dalla Regione Molise, che hanno perso i loro patrimoni netti, e invece di capirne il perché ancora pensiamo di assegnare gli impianti di risalita al Comune di San Massimo, insieme ad 8 milioni di euro per sistemarli, e poi vederli affidati in gestione a privati. Intanto l'unica struttura attrezzata presente sul Matese, ben 9 ettari, sta per passare in mano ad imprenditori privati campani, che una volta acquisitane la proprietà ad un prezzo praticamente irrisorio rispetto alla potenzialità degli impianti, situati, peraltro, nel cuore del Parco Nazionale del Matese, potranno tranquillamente accedere a fondi europei, e statali, per importi superiori di almeno dieci volte il prezzo pagato e calamitare una massa enorme di turisti utilizzando strutture d'eccellenza che sono venuti a prendersi nella nostra regione e che avranno reso insuperabili con fondi pubblici. Noi molisani, invece, saremo ancora al tavolo ministeriale ad elemosinare qualche giornata di cassa integrazione straordinaria per i disoccupati della filiera avicola molisana, mentre il nostro ruolo al tavolo di gestione del parco sarà, praticamente, azzerato non avendo alcun punto di forza per compensare l'enorme divario di rappresentanza politica che ci separa dalla Campania. Intanto con l'Area di Crisi Industriale Complessa e con il Contratto Istituzionale di Sviluppo abbiamo toccato probabilmente il fondo della nostra incapacità di programmazione. Allora, ai Maestri di sci diciamo di uscire dalla logica del cappello in mano per entrare in quella della serietà interlocutoria, del coraggio civile di mettere in discussione l'enorme spreco di risorse finanziarie pubbliche che metterà definitivamente in ginocchio questa Regione. I tavoli di interlocuzione con chi accetta ruoli politici subalterni a centri di interessi esterni alla nostra regione lasciano il tempo che trovano, come è successo per i disoccupati Gam che ancora non si svegliano da un sonno letale e lasciano che a rappresentarli siano pochissimi soggetti il cui scopo era, ed è, quello di andarsene in pensione, dopo circa sette anni di improbabile cassa integrazione, fregandosene altamente del destino segnato fuori regione per la più grande azienda agroalimentare del centrosud. E basta vedere a chi sta tirando la campagna elettorale la CGIL per capire che in questa regione se non vi rimboccate le maniche per difendere i vostri diritti non ci saranno né politici e né sindacati che lo faranno al posto vostro. Area Matese, come sempre, è a disposizione di chiunque voglia far valere le ragioni della dignità del lavoro e "prendersi" quelli che sono i propri diritti. Perché, come si dice, la storia non si cambia chiedendo permesso.

Fonte: Area Matese

(by nicola) 

giovedì 24 dicembre 2020

L'obbligo di intervenire grava sul Governo e quindi sullo Stato


Non bastava il Covid al Molise, ci voleva anche l'epidemia di "amnesia collettiva". Per quante volte lo abbiamo scritto ormai dovrebbe essere noto anche alle pietre molisane: quando le regioni non riescono a garantire "... la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali", l'obbligo di intervenire grava sul Governo (e quindi sullo Stato), il quale può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni per garantire ai cittadini il rispetto dei diritti "sociali e civili", fra i quali rientra certamente il diritto alla salute. Così è scritto espressamente nell'art. 120 della Costituzione. E da chi è composto attualmente il Governo italiano? Da PD e 5S, perciò, che Greco e Fanelli vogliano "leggere" i verbali del Nas perché vi sono "divergenti ricostruzioni delle autorità sanitarie" può far sorridere per la pretesa senza senso, ma desta stupore che ci sia chi ancora non ha capito il bassissimo livello della politica molisana. Il responsabile ultimo delle criticità che si riscontrano nel nostro sistema sanitario regionale è il Governo (e quindi lo Stato). Ci sembra chiaro, pertanto, che i guerrilleros della sedicente opposizione politica locale dovrebbero PRIMA richiamare all'ordine i loro partiti, e POI abbandonarsi alle sceneggiate locali. Ma per fare questo ci vuole il coraggio civile di anteporre il bene comune agli interessi del partito, e questo non è certamente pane per i denti dei politicanti locali. Ma, almeno, non dimentichiamo di che pasta sono fatti quelli che fanno finta di sbraitare per il nostro sistema sanitario.

Fonte: Area Matese

(by nicola)

Auguri

(by nicola)

Sub tutela Dei



Rosario Livatino, il 'giudice ragazzino' assassinato il 21 settembre del 1990 è il primo magistrato “Beato” nella storia della Chiesa cattolica. 

Aveva una visione “sacrale” della professione, non a caso chiudeva ogni sua annotazione con queste frase: “Sub tutela Dei.”

Sono certo che aveva fatto suo l'insegnamento di Max Weber: "Solo l’Occidente conosce una creazione come quella del diritto canonico."

P.S.:

Della visione 'sacrale', del magistrato che deve “Essere” e “Apparire”, in Molise non vedo traccia!

(by nicola)

mercoledì 23 dicembre 2020

COSI’ CONTINUANO A DISTRUGGERE L’ECONOMIA MOLISANA E IN PARTICOLARE LA CITTA’ DI BOJANO

 

Ormai si è superato anche il senso del ridicolo in questa gara a chi è più ossequioso rispetto agli artefici di uno dei più gravi danni causati all’economia di questa Regione. Non vale nemmeno la pena di perdere più tanto tempo a smentire le sciocchezze che puntualmente vengono propinate alla gente ogni qualvolta si è in prossimità temporale della scadenza degli ammortizzatori sociali. Sono cose dette e ridette, anche a futura memoria, tanto per non passare tutti per boccaloni ai quali si può far credere di tutto. 

Però è anche ora che le cose si dicano chiaramente. Insieme all’articolo pubblichiamo il verbale del 1° aprile 2019, unica data di quel mese in cui si è riunito il tavolo ministeriale sulla GAM, al quale si fa riferimento nel pezzo e siamo davvero curiosi di sapere, da chi lo ha scritto, dove ha letto che in quella sede “Amadori”… ”dichiarò il proprio disinteresse all’operazione…”, che sarebbe, poi, quella di ristrutturare/ricostruire il macello. Insomma, alla fine ci si pure stanca di perdere tempo a cercare, per educazione, termini edulcorati sia pur di fronte a delle vere e proprie disinformazioni sul tema. Ma stavolta lo diciamo chiaramente che per deontologia professionale, chi pretende di fare giornalismo deve usare almeno quelle minime, possibili cautele per verificare l’attendibilità/veridicità di quello che si scrive.

Sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico sono pubblicati i verbali del cd. tavolo ministeriale sulla GAM, e chi ne vuole fare oggetto di informazione a mezzo stampa può accedervi, gratis, in pochi secondi e verificare che Amadori non è nemmeno citato in quel verbale, né poteva esserlo perché la Alimentare Amadori S.p.A. non figura in nessun atto ufficiale, nè tantomeno risulta che abbia assunto impegni diretti con il MISE e con La Regione Molise. Se leggete quel verbale vedrete che il Ministero fa riferimento, sempre ed esclusivamente, alla srl Agricola Vicentina. Eppure si continuano a distribuire notizie, senza capo né coda, che rappresentano una realtà inesistente, e questo su un quotidiano che pur ha pubblicato alcuni articoli nei quali questi temi sono stati abbondantemente discussi E NON SMENTITI. Queste cose, adesso, le denunciamo con fermezza all’opinione pubblica perché non è possibile che non ci si fermi nemmeno davanti all’evidenza.

Riportare fatti inesistenti significa ignorare totalmente i termini della questione avicola. Le altre due parti evidenziate nell’articolo riportano pareri dell’Assessore al Lavoro della Regione Molise che non trovano alcun riscontro negli atti: infatti, non si può rimodulare un Contratto di Sviluppo che è chiuso, e lo abbiamo scritto l’altro ieri (v. nota dell’11.12.2020): “verbale in data 30.09.2019, del tavolo ministeriale sulla GAM: “Per il supporto a nuovi progetti di sviluppo per la filiera avicola molisana, sarà necessario iniziare un nuovo iter”. Ciò significa promuovere un nuovo Contratto di Sviluppo, ma bisogna prima trovare un privato che tiri fuori dalle proprie tasche il 60% delle somme necessarie per ricostruire un impianto di macellazione degno di questo nome. Se poi si vuole realizzare una piccola macelleria di quartiere il discorso cambia. Ma questo lo verificheremo dal piano industriale che eventualmente sarà depositato, sempre se lo faranno leggere anche ai cittadini visto che farlo leggere ai sindacati è perfettamente inutile considerando quanto ci è costato il loro mancato controllo sui finanziamenti pubblici nel Molise.

Nella seconda parte evidenziata si sconfina nell’irreale visionario (“Le politiche attive del lavoro passano infatti dal rifinanziamento dell’area di crisi complessa e dal rilancio effettivo della filiera avicola molisana”). La nostra Area di Crisi Industriale Complessa, come diciamo da sempre, è stato un fallimento TOTALE, e lo ripetiamo anche per l’ignoto giornalista che recepisce senza informarsi: 970 manifestazioni di interesse e solo tre progetti finanziati. Nella predetta nota dell’11.12.2020 avevamo ripetuto i numeri dell’Area di Crisi locale: “l’Area di Crisi Industriale Complessa del Molise è stata finanziata con 45,58 milioni di euro, dei quali ne sono stati utilizzati poco più di 6 milioni. Restano 39,58 milioni di euro inutilizzati, perchè, per la millesima volta, ricordiamo ai sindacati e ai politici che delle 970 manifestazioni di interesse presentate al ministero, ne sono state finanziate solo 3, circa il 13% dell’intero budget. Quindi, cosa vi devono rifinanziare se non siete stati capaci di allocare 39,58 milioni su 45,58?”. All’Assessore al Lavoro, peraltro, consigliamo di leggere meglio la riforma della legge 181/89 sulle Aree di Crisi Industriali, in particolare per quanto riguarda il regime dei residui. Così poi ci dice dove li prende, in quello strumento finanziario, i soldi per pagare gli ammortizzatori sociali ( a meno che non voglia continuare con il giochetto dell’affitto di un ramo d’azienda per dimostrare una continuità aziendale).

Insomma, basta scherzare e prendere alla leggera un dramma sociale che ha comportato conseguenze che le Istituzioni e i sindacati ancora non hanno valutato nella loro reale entità. E se, relativamente a politici e sindacalisti, non tutti in verità, siamo abituati ai luoghi comuni e slogan che non portano a niente, dalla stampa vorremmo più responsabilità nel regime dell’informazione interna, per capirci, quella alla quale deve accedere chi vuole scrivere di specifiche questioni complesse.

Ribadiamo, infine, che l’Amministrazione Comunale dovrebbe rivendicare un ruolo di primo piano su questa questione. Bojano ha pagato un prezzo terribile a causa di questa crisi causata dalla chiusura della più grande azienda agroalimentare del centrosud, avvenuta in un periodo (2014-2024) per il quale la Commissione Europea per l’Agricoltura aveva previsto incrementi del 7% dei consumi della carne di pollo, unico mercato in crescita.

Fonte: Area Matese

(by nicola)

 

martedì 22 dicembre 2020

P.R.I.A.Mo. Non è il re di Troia ma...

Con tutto il rispetto per i firmatari della mozione, dal P.R.I.A.Mo emerge di sicuro una cosa, e cioè che nel Molise è stato possibile prima bruciare rifiuti e dopo anni andare a vedere "...l'effetto che fa", e ciò in violazione non solo di qualsiasi ragionevolezza ma anche di precise norme di legge (fra tutte il d.lgs. 155/2010). Peraltro il P.R.I.A.Mo, in mancanza di obbligatorie attività propedeutiche di monitoraggio (quali ad es. quelle previste dal D.lgs. n. 351/99 e D.M. n. 60/2002), è praticamente inutile per inattendibilità. Come si vede si parla di normative risalenti a circa 20 anni orsono, e questo fa capire a che punto siamo in materia di tutela ambientale nel Molise. Ultima perla in ordine di tempo: a Bojano costruiscono capannoni avicoli, (industrie insalubri che vanno mantenute fuori dal centro urbano e lontani dalle case) senza verificare se debbano essere sottoposti a VIA o VAS, e questo nonostante specifiche denunce presentate alla solita Procura di Campobasso che, addirittura, chiede le solite archiviazioni anche quando sbaglia ad individuare quali sono i capannoni per i quali misurare la distanza tra loro ai fini della valutazione del cumulo delle emissioni in atmosfera. Naturalmente a Bojano i capannoni sono nel centro abitato, come identificato dalla Cassazione penale, e posti a pochi metri da abitazioni civili, perchè non ci facciamo mancare niente. E ciò nonostante il fatto che, secondo ARPAM, Bojano è monitorata con la centralina di Venafro, e quindi presenta le medesime criticità di quella zona. C'è bisogno di dire altro per capire che aver messo un generale dei Carabinieri al Ministero dell'Ambiente è stata solo una lavata di faccia per la povera gente che risiede in quelle aree (Venafro e Bojano in questo caso)? Hanno voglia a presentare mozioni e a perdere tempo con studi postumi che, in mancanza dei dati pregressi, possono dare solo risposte ampiamente parziali e, quindi, inutili... come il P.R.I.A.Mo

Fonte: Area Matese

(by nicola)

Art. 120

 
Agostino Miozzo, Coordinatore del Tavolo Tecnico Scientifico al Ministero della Salute, conferma quanto abbiamo detto sull'art. 120 della Costituzione: in situazioni di grande crisi sanitaria (come quella che viene da più parti lamentata per il Molise) l'art. 120 avoca allo Stato centrale il governo di tutti quegli interventi nel settore sanitario necessari per far funzionare il sistema, almeno per l'essenziale. Pertanto, ribadiamo che, fermo restante ogni colpa della Regione in merito alla gestione della situazione sanitaria del Molise, la responsabilità ultima di correggerne gli errori più gravi è del Governo centrale. La protesta locale diretta solo nei confronti della Regione non può non apparire strumentale. Ed infatti rappresentanti locali delle forze di governo centrale invece di intervenire energicamente nei confronti delle segreterie nazionali affinché le cariche istituzionali assumano le responsabilità politiche ed istituzionali derivanti dall'art. 120 della Costituzione, riducono una situazione complessa ad una mera schermaglia elettorale locale. E questo non ci farà certo superare la grave crisi in cui versa il nostro sistema sanitario regionale.
 
Fonte: Area Matese
 
(by nicola) 

sabato 5 dicembre 2020

Calendario SIPBC 2021

(by nicola)

Le api di Leydy Pech, 'nobel' per l'ambiente, hanno vinto contro la Monsanto

Leydy Pech è un'apicultrice indigena Maya. Si è resa conto della moria anomala delle sue api e ha capito che ciò era dovuto alle piantagioni estensive di soia transgenica che la Monsanto aveva disseminato dalle sue parti grazie a una concessione governativa. 

Per il diritto internazionale e per le leggi messicane, per poter concedere il permesso di quelle coltivazioni, il governo deve ottenere il consenso delle popolazioni indigene. Ebbene di 34 etnie che abitano quell'area, solo 6 erano state ascoltate. 

Leydy Pech ha organizzato una coalizione che è riuscita a portare i vertici messicani della Monsanto fino alla Corte Suprema che ha confermato che il governo ha violato i diritti costituzionali dei Maya. 

Risultato: Dal settembre 2017 il Servizio alimentare e agricolo messicano ha revocato il permesso alla Monsanto di coltivare soia geneticamente modificata in sette stati. 

Auguri a Leydy e alle api!

(by nicola) 

Presentato il Comitato "DIGNITA' e VERITA' PER LE VITTIME COVID IN MOLISE"

Il presidente della ns. Associazione ieri pomeriggio ha partecipato all'incontro di presentazione del  Comitato "DIGNITA' e VERITA' PER LE VITTIME COVID IN MOLISE":

https://www.primonumero.it/2020/12/pazienti-covid-morti-di-stenti-il-comitato-denuncia-lorrore-in-ospedale-e-prepara-la-richiesta-di-accesso-agli-atti/1530641959/

L'Osservatorio sosterrà concretamente l'operato del Comitato e degli avvocati impegnati in questa vicenda.

(by nicola)  

venerdì 4 dicembre 2020

In Molise interdittive antimafia alle stelle mentre le famiglie criminali allargano il loro raggio di azione

Questo articolo racchiude buona parte di quello che il Molise poteva essere e che non è diventato proprio grazie alla insufficiente azione di controllo da parte dello Stato nel territorio regionale. E' un argomento complesso e la questione delle "interdittive antimafia" è una delle chiavi per capire come non funziona lo Stato nella nostra Regione. Innanzitutto chiariamo che, contrariamente a quanto di dice nell'articolo, l'informativa antimafia non riguarda "aziende controllate o condizionate dalle organizzazioni criminali" ma è solo un provvedimento che si basa su una "valutazione discrezionale, da parte dell’autorità prefettizia, in merito alla sussistenza (o meno) di tentativi di infiltrazione della criminalità", come, chi voglia approfondire, potrà leggere nell'articolo del quale postiamo il link alla fine del post. Peraltro la criminalità organizzata non è più quella della lupara e della coppola, geograficamente nativa di alcune regioni e infiltrata nelle altre. Esistono, infatti, criminalità autoctone in ogni regione ed è compito dello Stato individuarle e rimuoverle dal contesto. Lo stesso termine "criminalità" dovrebbe essere inteso anche quale devianza illecita priva della componente della violenza materiale, chè quella morale sussiste sempre; in sostanza gli impicci ed imbrogli con i quali soggetti e poteri locali fanno gli affari loro in assenza del controllo statale. E nel Molise se ne contano tanti di esempi. Ecco perchè, quando si parla di "valutazione discrezionale dell'autorità prefettizia" Area Matese non può non ricordare il comportamento del Prefetto di Campobasso che, a seguito di una nostra, circostanziata, nota in materia di violazioni di leggi in tema di sicurezza ambientale manco ci ha risposto né ci ha ricevuti. Questo è il vero problema del Molise: gli uffici pubblici con funzione di controllo del territorio hanno un personalissimo concetto di discrezionalità che, secondo loro, comprende il potere di scegliere quali illiceità perseguire e quali no. La discrezionalità è un'arma a doppio taglio: funziona quando il titolare di quel potere non si abbandona alla sindrome del vicerè plenipotenziario e si comporta da dipendente pubblico, quale che ne sia il rango nella piramide delle istituzioni, a servizio del popolo e, quindi, del bene comune; non funziona quando ciò non avviene. Ed è in queste fratture del terreno istituzionale, che sono vere e proprie assenze di controllo pubblico, che trovano radici le attività "criminali" intese nel senso che prima si diceva. Queste situazioni, poi, sono favorite anche dal disinteresse della gente al corretto esercizio dei poteri-doveri che fanno capo alle pubbliche figure. Un ultima cosa: la Città natale di Area Matese è Bojano, per cui ci teniamo in modo particolare che i fatti che la riguardano siano correttamente riportati, specialmente quando si parla di "famiglie criminali" che ne hanno fatta la loro sede operativa. Ma su questo luogo comune c'è, come si diceva all'inizio del post, una complessa analisi da fare, una valutazione delle responsabilità, anche pubbliche, che hanno consentito una terribile regressione del tessuto sociale ed economico. E la criminalità organizzata, quella classica, che negli ultimi tre o quattro anni pure c'è passata, stavolta non c'entra niente, anche perchè nella zona matesina non ce l'ha portata certo la voglia di mettere le mani su una inesistente economia. Ma questo è un argomento che certamente non lasceremo sospeso. Riportiamo il link per chi volesse approfondire il tema delle "interdittive antimafia", specialmente il relazione ad una singolare posizione assunta dalla Corte Costituzionale.

Nasce il "Comitato DIGNITA' e VERITA' per le vittime Covid"


«Chi ha sbagliato deve pagare, purtroppo i nostri cari non ci verranno mai restituiti, ma rendere loro giustizia diventa per noi un dovere e un obbligo morale.» 

 

Una giusta battaglia. Una giusta azione per contrastare la deriva che sta assumendo la situazione sanitaria molisana. Fuori controllo? In mano ad irresponsabili? Bisogna rispondere con i fatti a queste domande. Finalmente la gente sta cominciando ad alzare la testa.

Troppi errori sono stati commessi.

Troppe responsabilità devono essere vagliate.

 

Incapacità? Dilettantismo? Presunzione? Gestione pessima e poco trasparente?

Qualcuno dovrà rispondere a queste domande.

Chi gestisce la cosa pubblica deve assumersi le responsabilità. Soprattutto quando, in questo caos, ci sono dei morti. E quante persone sono morte in Molise?

Ecco il motivo della nascita di questo neo Comitato: dignità e verità per le vittime del Covid.  

 

Pubblichiamo integralmente la nota del Comitato, firmata dal presidente Francesco Mancini. Il Molise si deve svegliare da un lungo letargo che ha generato dei mostri. Ringraziamo l'avvocato Vincenzo Iacovino per aver coinvolto WordNews.it 

     

«Siamo un gruppo di persone, parenti di vittime Covid, che hanno condiviso le proprie storie.

Dopo esserci confrontati abbiamo deciso di costituire un Comitato.

 

Questo ente senza scopo di lucro perseguirà fini solidaristici e di tutele. Vogliamo far luce sulle vite dei nostri cari e sulle eventuali responsabilità delle istituzioni, per le tristi storie che hanno coinvolto i nostri cari, cercando di restituire loro la dignità che gli è stata tolta.

 

Siamo molto addolorati ma anche molto arrabbiati, riteniamo che è venuto meno il diritto alla salute, quel diritto scolpito anche nella Costituzione italiana che all'Art.32 sancisce: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

 

Non tutte le malattie conoscono terapie efficaci, ma tutti i malati possono essere curati, dove la cura è intesa anche come assistenza e umanità nel renderla. Capiamo che l’adeguatezza delle cure va rapportata alle patologie e all’aspettativa di guarigione, ma soprattutto deve essere rapportata alla qualità della degenza per una prospettiva di tutela della salute e della vita.

 

L’organizzazione è venuta a mancare proprio nei reparti vitali e questo ha comportato gravissimi disagi e sofferenze per molte persone, tra cui anche i nostri cari.
 

La situazione è giunta ad un punto tale da compromettere irrimediabilmente la dignità e la salute dell'individuo. Negare la dignità, significa trasformare la persona in mero organismo biologicamente vivente, privo di rispetto e considerazione. 

 

Noi intendiamo far conoscere alle persone la nostra attività, rendere pubbliche le nostre testimonianze insieme alle altre che stiamo raccogliendo, possiamo solo anticipare che tutto ciò che sta venendo fuori mette in risalto un sistema inefficiente e fallimentare che danneggia i cittadini. Siamo intenzionati a raccogliere fondi per questo obiettivo. Intendiamo coinvolgere nuovi membri e volontari per questa causa comune.

 

La verità deve venir fuori affinchè si possa mettere fine una volta e per tutte a questo strazio, perchè è proprio di questo che si tratta se pensiamo come sono morte quelle povere persone in quei reparti isolati, emarginati, abbandonati e privati di dignità. Dalle diverse storie che abbiamo raccolto e documentato si evince chiaramente che i nostri ammalati hanno chiesto aiuto in tutti i modi e con tutti i mezzi in loro possesso.

 

Queste richieste, inevase, non possono e non devono essere dimenticate, anzi ciò deve servire affinchè altre persone non vengano a trovarsi nelle loro stesse situazioni. Chi ha sbagliato deve pagare, purtroppo i nostri cari non ci verranno mai restituiti, ma rendere loro giustizia diventa per noi un dovere e un obbligo morale.

 

Per questo abbiamo chiesto ed ottenuto aiuto dall’avvocato Vincenzo Iacovino che da sempre garantisce tutele ai diritti dei più deboli.

 

Venerdì 4 dicembre, alle ore 18:00 verrà presentato ufficialmente e pubblicamente il neo-costituito Comitato. Chi intende partecipare potrà far pervenire la sua richiesta entro le ore 12:00 al seguente indirizzo mail veritasetdignitas@protonmail.com e verrà ricontattato per le credenziali di accesso al meeting sulla piattaforma “zoom”».

Fonte: wordnews.it

(by nicola)

mercoledì 2 dicembre 2020

EOLICO. Ancora pale sul crinale della Castagna?

Sblocco, dopo 17 anni di lotte, delle autorizzazioni per installare pale eoliche sul crinale della Castagna nella Valle del Tammaro. La procedura conclusiva dopo gli esiti giudiziari a favore dell'impresa è in istruttoria. 

La nostra Associazione ha già sottoscritto l'appello finalizzato a preservare il territorio da questo ennesimo attacco.

Invitiamo tutte le Associazioni a far fronte comune.

(by nicola)

 

Il consumo di sostanze stupefacenti in Italia è libero


Mi dispiace, ma i consumatori non possono essere nel mirino dei Carabinieri perché il consumo di sostanze stupefacenti in Italia è libero. 

Questa piaga sociale è volutamente ignorata dallo Stato e la risposta solo repressiva non ha fermato la tossicodipendenza, specialmente quella tra minori. Per questo Scuole, Istituzioni e Associazioni varie, specialmente quelle di genitori, farebbero bene ad aprire gli occhi. 

I vostri figli sono stretti tra interessi criminali e ipocrisia istituzionale. Se avete i soldi, per tenerli lontani dallo spaccio per necessità, non li vedrete in galera, altrimenti il loro destino è segnato. 

Certe verità bisogna pur dircele: i sancta sanctorum del traffico di stupefacente non li tocca nessuno e i consumi sono sempre più elevati, tanto che oggi siamo sul podio europeo, al terzo posto dopo Repubblica Ceca e Francia. E bisogna che ve lo mettiate bene in testa: le guerre alla droga non esistono, esistono solo ragazzi fragili che hanno avuto la sfortuna di nascere nello Stato più ipocrita e ottuso del mondo nel quale le leggi sono fatte per fare incassare miliardi di euro alla malavita alle spalle dei ceti più poveri, quelli che vanno in galera (lo so che queste cose sono state dette e ridette, ma è meglio ricordarcele ogni qual volta si parla di droga).

Avv. Alfonso Mainelli

(by nicola)

Il diritto internazionale come barriera per proteggere tutti gli ecosistemi

Sono diversi i fattori che determinano l’estinzione delle specie animali. In primo luogo, emerge il cambiamento climatico. In secondo luogo, compare la distruzione degli ecosistemi, con le città che prendono il posto delle aree naturali.

In terzo luogo, alcune specie animali sono sovrasfruttate e a rischio di estinzione. In quarto luogo, anche l’introduzione di nuove specie animali può minacciare la sopravvivenza delle specie native. In quinto luogo, l’inquinamento mette a repentaglio le specie animali, inclusi naturalmente i disastri ecologici provocati, per esempio, dalla fuoriuscita di petrolio dalle navi negli oceani. La vulnerabilità degli ecosistemi è resa evidente dalla perdita di biodiversità, la quale per un verso è sempre più accelerata e, per altro verso, è causata dal comportamento dell’uomo.

Un soccorso può venire dal diritto internazionale, in particolare dalla Convezione sulla diversità biologica (conosciuta anche come Convenzione di Rio de Janeiro) del 1992.

Si tratta, però, di trasferire le previsioni internazionali sul piano del diritto municipale (o interno). La divaricazione tra Paesi di civil law e di common law (ancora) sussiste, sotto il profilo ora in esame. I primi sono spesso propensi a considerare le norme internazionali come parte integrante del diritto interno. I secondi, invece, applicano (molto) meno frequentemente le norme dei trattati internazionali, anche se in verità tendono a considerare il diritto consuetudinario come parte del diritto municipale.

Non vi è dubbio, comunque, che il diritto internazionale viene utilizzato dalle Corti di giustizia per interpretare il diritto interno. Questo avviene specialmente negli Stati in via di sviluppo (o Paesi emergenti) per l’interpretazione del diritto municipale, ma non mancano importanti casi nei Paesi più avanzati; basti pensare all’esperienza olandese e alla decisione della Corte suprema del Paese nella vertenza Urgenda Foundation v. De Staat der Nederlanden del 20 dicembre 2019, in materia di “taglio” delle emissioni, che è stata “ispirata” sia dal diritto europeo che da quello internazionale.

I trattati internazionali sulla biodiversità che possono essere utilizzati come fonti di ispirazione dalle Corti interne non sono rappresentati soltanto dalla Convenzione sulla diversità biologica. Vengono in rilievo la Convenzione sulla conservazione delle specie selvatiche migratorie di animali selvatici (c. d. Convenzione di Bonn) del 1979, nonché prima ancora la Convenzione sulle zone umide (c. d. Convenzione di Ramsar) del 1971.

Se le Corti interne interpretano la legislazione domestica alla luce delle convenzioni internazionali in materia di protezione e conservazione della biodiversità (queste ultime intese nel senso ampio sopra precisato), si pongono ulteriori problemi di non poco conto, rappresentati innanzi tutto dall’attribuzione o meno di una (limitata) personalità giuridica alle specie  non-umane.

Ammesso che ciò sia ammissibile, bisogna poi chiedersi chi può agire a tutela delle specie animali. La risposta potrebbe essere: le ong e/o associazioni il cui fine sia la protezione e conservazione degli animali nel pianeta. Una indicazione importante in subiecta materia è fornita dal Principio n. 10 della Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo del 1992, dove si parla di promuovere la partecipazione della società civile, l’accesso alle informazioni nonché l’accesso alla giustizia nelle questioni ambientali, stabilendosi che tale accesso deve essere effettivo.

Naturalmente, non ogni singolo animale appartenente alla specie potrebbe disporre di siffatta protezione. Mutatis mutandis, non molto diverso è l’approccio in tema di protezione dei popoli indigeni qualificati come gruppo di persone, titolari per esempio del diritto all’autodeterminazione ai sensi della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 13 settembre 2007.

Si tratta, infatti, di una Dichiarazione per la protezione non dei singoli individui di etnia indigena, ma di un gruppo di persone. Questo potrebbe forse valere, con gli opportuni adattamenti, anche per gli animali, quantomeno nella prospettiva de iure condendo.

MAURO MAZZA, PROF. DIRITTO COMPARATO UNIV. BERGAMO

(by nicola) 

 

lunedì 30 novembre 2020

Recovery fund: ancora provvedimenti assistenziali

L’allentamento delle restrizioni per l’infezione da COVID-19 è evidentemente diretto a facilitare il commercio e l’economia, ma presenta caratteri inquietanti per quanto riguarda la lotta all’infezione.

Allentare le restrizioni significa, in primo luogo, agire negativamente sulla mente dei cittadini, i quali riprendono la loro libertà di movimento e di assembramento, senza pensare agli effetti nocivi di questi atti.

In particolare impensierisce il ritorno della Lombardia nella zona arancione. Fatto che non tiene in nessun conto che i contagi e i decessi in quella regione costituiscono il 40% dei contagi e dei decessi nazionali. Sembra proprio che il governo abbia ceduto alle pressioni della confindustria, alla quale poco interessa la salute dei cittadini.

A conti fatti trionfa soltanto l’amore per il denaro.

Sul piano europeo, colpisce negativamente l’affermazione di Cristine Lagarde, secondo la quale i debiti non si toccano, espressione che prescinde dalla considerazione essenziale della giustizia o ingiustizia del debito. Ingiustizia che è palese e incontrovertibile nei debiti da speculazione e nei debiti da scommesse, come derivati e simili, poiché sia la speculazione, sia il gioco e la scommessa non hanno tutela giuridica e non fanno nascere obbligazioni giuridiche di restituzione, come afferma molto chiaramente l’articolo 1933 del codice civile. L’apertura sull’argomento fatta da Sassoli, Presidente del Parlamento europeo, è stata subito soffocata da Gentiloni, il quale, dopo essersi dimostrato un convinto neoliberista durante la sua gestione di Capo del governo italiano (basti pensare che ha distrutto i boschi e le foreste con il testo unico foreste) continua nel suo atteggiamento proditorio nei nostri confronti dando manforte alla Lagarde e dimostrando un vuoto nelle sue convinzioni.

Per quanto riguarda i progetti del Recovery Fund, di fronte alla struttura piramidale, prevista da Conte, che dovrebbe sostituire gli organi istituzionali in questa vicenda, a parte ogni considerazione sulla sua costituzionalità, resta il fatto gravissimo che le materie prese in considerazione sono le 6 seguenti:

  1. digitalizzazione
  2. transizione green
  3. istruzione
  4. formazione
  5. inclusione sociale
  6. salute

Manca assolutamente la visione di uno Stato imprenditoriale, che possa riconquistare le fonti di produzione di ricchezza nazionale e porre l’Italia in condizioni di parità con gli altri Stati europei.

Puntando su queste materie, tra le quali non neghiamo che talvolta come sanità, istruzione e ambiente, sono pienamente valide per il futuro, il governo tralascia completamente l’aspetto immediato, fondamentale e primario della trasformazione del sistema economico predatorio neoliberista, che ci rende schiavi dei Paesi forti dell’Europa, e evita di porre le basi per una vera e solida ricostruzione della proprietà pubblica del Popolo italiano, unica fonte di produzione di ricchezza nazionale. Un recupero di ricchezza imposto tra l’altro dall’articolo 43 della Costituzione, secondo il quale devono essere nella mano pubblica o di comunità di lavoratori e di utenti i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia (i cui prezzi influenzano la produzione totale) e le situazioni di monopolio.

Il governo così facendo dimostra di non avere la minima idea di cosa bisogna fare per ricostituire la ricchezza nazionale dissipata dai precedenti governi succedutisi all’assassinio di Aldo Moro, con le privatizzazioni e le svendite a inesperti faccendieri privati e a fameliche multinazionali.

Non c’è una parola contro le privatizzazioni, cioè della fraudolenta trasformazione degli Enti pubblici economici, che devono agire nell’interesse del Popolo, in S.p.A., che devono perseguire gli interessi di pochi singoli soci, spesso stranieri.

Così sta avvenendo per l’Ilva di Taranto, dove il governo prevede di intervenire in modo assistenziale, assumendosi il 50% del capitale sociale, senza nulla modificare sul piano produttivo e ambientale della fabbrica e proseguendo così in un’azione che mantiene i danni alla salute del Popolo tarantino e non ha altro fine che quello di aiutare una multinazionale straniera in difficoltà: Arcelor Mittal.

A nostro avviso questo governo ha assunto una posizione politica assolutamente subordinata alle idee neoliberiste, ampiamente professate in Europa, e non sta facendo altro che spingere l’Italia verso la sua definitiva estinzione economica.

Professor Paolo Maddalena. Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”

(by nicola)

... rimettere i margini al centro

Se l’Italia riparte dalle aree interne, come possono le aree interne emanciparsi da se stesse? Spieghiamo: la pandemia ci ha costretti a ragionare sugli spazi, sui luoghi poco – o meno - abitati del nostro Paese e ci ha portati a definirli rifugi, sacche di futuro, modelli di sviluppo sostenibile, mete di turismo lento e responsabile, officine per progetti di cambiamento, case in cui riabitare. Ma il modo in cui tutto questo smette di essere utopia e diventa realtà, sono stati in pochi a definirlo.

«Aree interne non si nasce, si diventa»: è una frase illuminante del Professor Rossano Pazzagli, con cui ci siamo confrontati in un percorso a ritroso e in avanti, fino a capire come si realizza questa nuova vita: la relazione con le città, il potenziale attrattivo, le disuguaglianze territoriali e le risorse in mano alle comunità. Rossano Pazzagli è docente di Storia del territorio e dell’ambiente all’Università del Molise, esponente della Società dei Territorialisti. E’ stato anche Direttore del Centro di Ricerca per le Aree Interne e gli Appennini.

Oggi, dal suo osservatorio, come appaiono i margini dell’Italia?

«Sono territori a cui dobbiamo guardare sempre di più, sottovoce vorrei affermare che sono luoghi pronti al futuro, ma in realtà il processo di marginalizzazione e di declino sta continuando, con la conseguenza di una perdita dei servizi. Oggi le guardo con maggiore attenzione e dovremmo farlo tutti. L’emergenza sanitaria in corso ci indica le contraddizioni del nostro tempo e ci spinge a ripensarle, ingiustamente isolate dal processo di sviluppo dell’età contemporanea. Il paese è come scivolato a valle, molti sono andati via dalle colline, dalle montagne, dai fondo valle interni per spostarsi verso i centri urbani e le coste, verso l’estero anche. C’è stata un’emigrazione importante e queste aree hanno perso popolazione ed economie. Sono però rimaste molte cose – al contrario di ciò che si pensa – e lo dimostrano gli studi e le ricerche che stiamo portando avanti. Non solo perché, fisicamente, il niente non esiste, ma soprattutto perché questi territori sono ancora ricchi di valori utili agli abitanti e a tutta la società. E possiamo fare degli esempi: l’acqua, l’aria pura, il paesaggio, quell’insieme di servizi eco-sistemici di cui abbiamo bisogno. Ed è per questo che il compito di prendersene cura non va affidato solo a chi è rimasto, ma a tutti».

Perciò queste aree interne non sono sempre state lì, sono passate a questa condizione: che significa?

«Sono uno storico e – per deformazione professionale – sono portato a vedere gli accadimenti in una prospettiva di lungo periodo. Se mi riferisco alle aree interne, noto che ci sono tantissimi paesi in cui alla metà del Novecento vivevano molte più persone, esistevano diverse attività, c’era un paesaggio e un territorio curato, coltivato, pascolato e anche i boschi erano utilizzati. Tutte queste erano risorse. Non c’è nulla di ineluttabile perciò, essere aree interne non è questione di destino, la responsabilità appartiene ad un modello di sviluppo che ha scelto di polarizzare l’economia e la popolazione nelle zone centrali, trascurando e dimenticando gran parte della superficie nazionale, dal Nord al Sud, dove c’è una marginalizzazione ancora maggiore, perché la questione territoriale si somma alla questione meridionale. Il Mezzogiorno è colpito due volte, ma tutta l’Italia ha subito forti processi di marginalizzazione che hanno penalizzato in modo particolare l’agricoltura e l’allevamento, due settori da cui noi tutti dipendiamo».

Ci sono però diversi strumenti a sostegno, pensiamo alla Legge Piccoli Comuni, alla Strategia Nazionale Aree Interne, il Recovery Fund a misura di Sud: sono interventi che possono in qualche modo risollevare i territori interni?

«I soldi servono, ma non bastano. E questo ce lo dice l’esperienza passata, fatta di grandi finanziamenti e nessuno sviluppo reale. Allo stesso modo non servono i progetti calati dall’alto, per cui io credo che a queste azioni bisogna guardare con favore, soprattutto alla Snai, importante per aver introdotto una metodologia completamente nuova, confrontandosi con i territori. C’è bisogno di processi di programmazione dal basso, partecipati dalle comunità locali, che si basino prima di tutto sulle risorse endogene. Altrimenti riproporremo un modello già visto, quello dell’industria e degli investimenti che arrivano da fuori e solo sul momento producono qualche posto di lavoro, ma in prospettiva non si radicano e non vanno incontro alle vocazioni di un territorio. Non possiamo più pensare di risolvere i problemi delle aree interne applicandovi lo stesso modello che le ha marginalizzate, è necessario cambiare. Pensare alla rinascita significa invertire la prospettiva di sviluppo, creare un diverso mercato, un rinnovato rapporto città-campagna, senza guardare alla quantità ma alla qualità. Insomma, si deve uscire dall’idea della crescita infinita».

La pandemia, in questo senso, sembra aver avuto un’evoluzione: da crisi ad opportunità. Quanto è vero e quanto è possibile un ritorno alle aree interne, secondo lei?

«Non è possibile immaginare di ripopolare le aree interne senza riportare i servizi e senza creare opportunità di lavoro per chi ci abita. E’ un passaggio fondamentale. Io le definisco terre sane e il Covid ce lo ha dimostrato, colpendo prima e ferocemente le aree urbane più sviluppate e spontaneamente è accaduto che molti cittadini abbiano cominciato a ragionare su un possibile ritorno ai paesi. Al momento però si tratta solo di una fuga. La politica ha la responsabilità di trasformarla in qualcosa di duraturo, in una strategia. E per farlo non è possibile prendere scorciatoie, si passa per forza dai servizi: la scuola, i presidi sanitari, i collegamenti materiali – strade vere, quelle che in tante aree interne sono dissestate - e immateriali, quindi internet, la banda larga, le connessioni. Riabitare non significa tornare al passato, alla vita dei nonni. E’, piuttosto, utilizzare le nostre conoscenze e le nostre tecnologie per rendere queste zone nuovamente vive. Penso non ci sia nulla di meglio che stare in un bel posto, viverci, lavorare e avere i servizi necessari. Ecco, non siamo ancora in questa fase, la politica deve rendersi consapevole di una necessità, è il momento di investire sulla qualità della vita, sul ritorno in equilibrio tra uomo e ambiente, perché chi vuole la quantità sa già che può trovarla in città. Solo in questo modo le aree interne riusciranno a rappresentare davvero il futuro».

Nel documentario Genius of a place la regista Sarah Marder ha affrontato il tema dell’overtourism legato a Cortona, la sua città, e al repentino stravolgimento della vita per i suoi abitanti. Affermava che solo tutto cioè che è locale alla fine sopravvive: è così? Il locale sta sostituendo il globale?

«E’ un grandissimo tema, un rapporto costantemente in discussione. Ma sarei per evitare l’antitesi tra i due termini, se li poniamo in contrapposizione è facile capire qual è il risultato, sarebbe scontato. Invece dobbiamo cominciare ad interrogarci su come il locale può stare nel globale, lasciare che torni protagonista dell’orizzonte globale e per farlo bisogna prima di tutto avere coscienza di quello che abbiamo. Dopodiché servirebbe valorizzare le proprie specificità, perché questo è il tempo delle peculiarità, non dell’omologazione, di individuarle e promuoverle. E questo significa responsabilizzare anche le comunità che devono ritrovare un legame di conoscenza, di fiducia, con il loro territorio. Quando vado nelle aree interne incontro abitanti rassegnati, ecco, si deve lavorare anche su questo. Il capitale economico e il capitale sociale devono percorrere questa strada insieme. L’opportunità che ci viene offerta oggi è quella di rimettere i margini al centro, che sembra una contraddizione, ma non lo è. Abbiamo creato disuguaglianze, una condizione di isolamento e declino che dobbiamo rimettere al centro e risolvere. Ha a che fare con l’economia, ma di più con i diritti».

E’ un ragionamento in cui la tutela ambientale non può passare in secondo piano: come influisce sullo sviluppo e sul benessere delle comunità?

«In Italia, come nel resto del pianeta, abbiamo una grande questione ambientale aperta, nel nostro Paese va ad unirsi alla questione territoriale. Le aree interne sono quelle più pregiate da un punto di vista ambientale, sono le meno inquinate, le più ricche paesaggisticamente, hanno una maggiore biodiversità e questo insieme va considerato come un patrimonio da mettere a frutto. L’ambiente, l’agricoltura e il turismo sono le tappe fondamentali per la rinascita, i paesi sono la ricchezza, ancora lì a ricordarci l’antica importanza di quello che abbiamo e ad indicarci un cammino da riprendere».

Ci salutiamo con un’ultima grande domanda, più che altro un dubbio da risolvere: viene prima il turismo o la pratica del riabitare per rivitalizzare le aree interne? O meglio, come si riesce a bilanciare sviluppo turistico e fragilità del territorio?

«Dobbiamo chiederci quale turismo, per fare un’analisi. Certo non si addice alle aree interne quello di massa, né i flussi concentrati ed esasperati. Serve invece un turismo slow, continuativo, responsabile, d’esperienza, quello in cui si va nei luoghi non per scoprirli, ma per viverli e fare in quei luoghi tutto ciò che online ancora non è possibile fare. Assaggiare, interagire, sentire gli odori, partecipare ad una festa tradizionale, appropriarsi dei saperi. Purtroppo adesso siamo immersi in un tempo sospeso, ma tutto questo passerà e noi dovremo andare in questi territori con un animo diverso, senza commiserazione, senza un però da avanzare. Prima di intraprendere una politica turistica è necessario metterne in campo una per riabitare i luoghi, il turismo verrà di conseguenza. Il primo passo è stare di nuovo bene nelle aree interne, è imprescindibile».

Grazie Professore per la lezione illuminante...

«Grazie a voi per l’ascolto».

Fonte: ortìcalb.it

(by nicola)