Nell’ultima relazione al Parlamento della Direzione Investigativa Antimafia (Dia) vi è un interessante focus sui traffici illeciti di rifiuti
che vale la pena di leggere, anche perché ridimensiona notevolmente le
trionfalistiche affermazioni di chi, riempiendosi la bocca con l’economia circolare,
vuole farci credere che l’Italia è, nell’Unione Europea, un paese
modello dove i rifiuti sono quasi scomparsi perché vanno tutti a
riciclo.
Ma solo sulla carta. Infatti, ci dice la Dia, nel tempo, le tecniche di smaltimento illecito
si sono evolute, passando dallo sversamento in discariche a cielo
aperto, tipiche del periodo compreso tra la fine degli anni 80 e
l’inizio degli anni 90, a un’ampia gamma di metodologie pericolose per
la salute pubblica, che ha riguardato tutte le fasi del ciclo. E ci
spiega anche come: “a) l’invio di rifiuti pericolosi in
discariche non idonee, sulla base di falsa documentazione che ne
attesta, solo cartolarmente, il trattamento; b)
l’immissione dei rifiuti in cicli produttivi, cementifici e fornaci per
la produzione di laterizi, di fanghi industriali, polveri di
abbattimento fumi, ceneri e scorie derivanti dalla lavorazione di
metalli; c) lo spandimento sul terreno di
pseudo-fertilizzanti provenienti da attività di compostaggio di fanghi
non sottoposti ad alcun trattamento, pertanto non idonei all’impiego in
agricoltura per le elevate concentrazioni di metalli pesanti (cadmio,
cromo, mercurio, nichel, zinco) e la presenza di sostanze cancerogene; d) l’impiego di rifiuti pericolosi in ripristini ambientali”.
Aggiungendo che per i rappresentanti degli enti locali, le condotte contra legem sono spesso originate dall’esigenza di trovare soluzioni immediate
di smaltimento che consentano di liberarsi dei rifiuti in modo
sollecito, garantendo, senza interruzioni, l’erogazione del servizio
pubblico, la cui interruzione rischierebbe di provocare gravi danni alle
collettività che amministrano. Insomma, l’emergenza porta all’illegalità e, spesso, la illegalità si coniuga con la corruzione e con il connubio con la criminalità organizzata.
Con la novità – ci precisa la Dia – che in diverse realtà si è
riscontrato che “l’esponente politico si trova in una posizione di
subalternità solo apparente in quanto, da un esame più attento del
rapporto instauratosi tra il primo e il gruppo criminale, emerge che
questo si fonda sull’esistenza di reciproci interessi e si sviluppa su
un piano di perfetta pariteticità. Infatti, il
peculiare rapporto che, da decenni, lega la camorra a compagini
istituzionali, le ha consentito di inserirsi nelle gare per la
concessione di pubblici appalti, in posizione spesso favorita rispetto
alle imprese legali, sia per le considerevoli ricchezze di mezzi di cui
la stessa dispone sia per gli appoggi politico-amministrativi sui quali
può contare. Tale relazione arriva in alcuni casi ad assumere le
connotazioni di una vera e propria joint venture, nella quale le scelte
gestionali sono attuate a discapito dell’ottimizzazione delle modalità
di smaltimento”.
Insomma, al di là della mafia e della camorra, oggi in Italia la criminalità ambientale è un “fenomeno che si alimenta costantemente
grazie all’azione famelica di imprenditori spregiudicati,
amministratori pubblici privi di scrupoli e soggetti politici in cerca
di consenso, nonché di broker, anche a vocazione internazionale, in
grado di interloquire ad ogni livello”.
Quanto, in particolare, ai rifiuti urbani, la Dia evidenzia che la
carenza di impianti atti a chiudere il ciclo “ha inevitabilmente
determinato l’allungamento della filiera ed il mancato compimento del
ciclo di gestione, demandando lo smaltimento di quasi tutti i rifiuti
urbani al conferimento in discarica, che spesso avviene dopo un
farraginoso e dispendioso iter di trattamento e trasporto”. Ma, “più è
lunga la filiera, più le organizzazioni criminali riescono a trovare
spazi di inserimento, sfruttando le situazioni emergenziali e
contribuendo, con lo sversamento illegale nelle discariche abusive, all’inquinamento del patrimonio ambientale”.
Conclusione: “È, pertanto, assolutamente necessario fare in modo che la chiusura del ciclo possa avvenire in prossimità del luogo di produzione del rifiuto, al di là della sola logica del conferimento in discarica”. Perché “i trafficanti lo sanno bene: più rifiuti, più passaggi, più chilometri, più affari in vista”
Fonte: il Fatto
(by nicola)
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