"La riforma del processo penale
ha un impianto che non è ormai modificabile e comunque di solito le
mediazioni sono sempre al ribasso", è il lapidario commento del
professor Giorgio Spangher, emerito di diritto processuale penale e
voce critica nei confronti del ddl targato Bonafede e del decreto
Intercettazioni da poco approvato.
Qual è questo impianto immodificabile?
La riforma penale nasce con una filosofia precisa: attraverso nuove
regole di giudizio, l’obiettivo è di convincere l’imputato ad aderire
ai riti speciali in logica di deflazione del contenzioso. Per farlo,
aggiunge una sorta di “udienzina” davanti al
giudice monocratico, che viene dopo la mancata archiviazione del pm con
l’accordo del gip. Se anche questo ulteriore giudice non proscioglie,
l’imputato dovrebbe essere indotto a chiedere l’abbreviato o il
patteggiamento.
La leva è sempre la riduzione di pena?
Esatto, basti pensare che il procedimento per decreto si estende a
pene detentive fino a un anno e viene aggiunto lo sconto di pena, che
era già la metà del minimo edittale, di un ulteriore 5%. Insomma, la
logica è sempre quella di tentare di convincere ad aderire ai riti
premiali, perchè senza la prescrizione e con il nuovo rito la condanna è
largamente possibile.
Questo per ridurre la durata dei processi?
Sì, la prospettiva è quella di decongestionare il carico giudiziario e
di conseguenza scommettere sull’accelerazione del processo, anche se
mi pare difficile che funzioni.
Perchè non funzionerà?
Innanzitutto l’udienza aggiuntiva nel monocratico allungherà il tempo
del processo. Inoltre il rischio è che, se le sentenze verranno scritte
da giudici non perfettamente qualificati, le motivazioni rischiano di
non essere sufficienti. Questo potrebbe generare un enorme affluvio di
ricorsi in cassazione per difetto di motivazione.
Al netto di un impianto che lei non condivide, si può proporre qualche modifica al tavolo che si è appena aperto?
Una criticità è quella del monocratico in appello: la collegialità è
un valore e la monocraticità rischia di depauperare la ricchezza
dell’approfondimento, inoltre si rischiano contrasti all’interno della
stessa sezione. Altro punto da correggere necessariamente è l’articolo
190 bis che elimina la rinnovazione del dibattimento in caso di
sostituzione di un giudice. Questa norma sciagurata è in
controtendenza rispetto alla sentenza a Sezioni Unite Bajrami.
Hanno fatto molto discutere le sanzioni per i magistrati...
Il punto non sono le sanzioni disciplinari ai magistrati, ma che
mancano le sanzioni processuali in caso di ritardi. Solo quelle
sarebbero strumenti che consentono un processo più rapido, insieme all’aumento di personale.
Perchè è così scettico sulla possibilità di modificare il testo?
Perchè non è facile sedersi intorno a un tavolo ed emendare un testo del genere. Penso al dibattito sulle intercettazioni, che alla fine ha prodotto una mediazione al ribasso, come se bastasse inserire aggettivi come “rilevante” e “necessario” per cambiare l’intelaiatura di una norma. Mi chiedo: è possibile emendare il ddl in senso garantista? Non credo, perchè significherebbe modificare la filosofia di fondo del testo. Il ddl punta a una giustizia che costringa la gente a patteggiare per ottenere
sconti di pena, io credo che la giustizia sia fare un processo che abbia delle garanzie. Ma la logica populista sta ormai assalendo la compagine governativa, colpita da una specie di virus inquisitorio.
E’ un problema di logica politica, quindi?
Di più, il problema è che la classe politica risponde in modo
preoccupante alle sollecitazioni in senso garantista della Cassazione
e della Corte Costituzionale. Le faccio un esempio: quando la Consulta
è intervenuta sull’applicazione dell’articolo 4 bis dell’ordinamento
penitenziario, la risposta è stata: “Allora modificheremo la norma”.
Lo stesso è successo quando sono state pubblicate le sentenze a Sezioni
Unite Bajrami sulla rinnovazione del dibattimento. E’ come se la
politica non accettasse più le interpretazioni conformi ai principi
costituzionali delle due massime corti. E’ in atto un atteggiamento di
distacco dal principio di legalità.
Ritiene che anche la norma sull’utilizzo dei Trojan sia censurabile dalla Corte Costituzionale?
E’ difficile dirlo, perchè la lettura dell’articolo non è univoca e può essere interpretata secondo
l’ispirazione della sentenza Cavallo a Sezioni Unite o prescindendone.
Il punto è: bisogna verificare l’uso che si farà dei risultati delle
intercettazioni nel caso dei reati che non rientrano nell’articolo
260. Se io intercetto un indagato per un reato contro la p. a. e
individuo un altro reato non intercettabile, questa informazione diventa
una notitia criminis, uno spunto investigativo? Questo è il meccanismo
della pesca a strascico o delle intercettazioni a catena. Ma non è un
problema di legittimità costituzionale. Eventualmente, censurabile
sarebbe l’interpretazione estensiva della norma.
Il sottosegretario Giorgis ha sottolineato come la garanzia nell’uso
dei Trojan sia la previsione di una motivazione rafforzata per
disporli.
La motivazione
rinforzata non serve a nulla, perchè basta una riga in più nel modulo
di richiesta. Il problema è altrove e sta nella qualificazione del
fatto. Ovvero: il pm indaga per un reato che qualifica come contro la
p. a. e dunque dispone l’utilizzo dei Trojan, poi però nel corso
dell’indagine si scopre che il reato è un altro. Che fine fanno le
intercettazioni: Sono utilizzabili? La giurisprudenza si orienta nel
dire che i risultati sono sempre utilizzabili e, anche se ci fosse una
dichiarazione di inutilizzabilità, quei contenuti sono stati comunque
ascoltati. Questo, però, vuol dire barare sulle norme.
Fonte: il Dubbio
(by nicola)
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