Da quasi trent’anni non potevano
indossare i pantaloni, vedere la tv, ascoltare la musica, assistere a
manifestazioni sportive o semplicemente camminare da sole per la strada.
In sostanza le donne del Sudan non potevano fare nulla, umiliate e o
offese dalla Legge sull’ordine pubblico instaurata dal regime di Omar
Bashir; un insieme di norme tanto invasive e feroci quanto vaghe e
indefinite da permettere la loro applicazione in ogni meandro della
vita quotidiana. Non una pedissequa trasposizione della shariah ma un
dispositivo autoritario generale, che ha sfruttato le suggestioni
della legge coranica come pretesto per esercitare un controllo sociale
illimitato sulla popolazione femminile. Un sistema fondato sul
«terrore e la discriminazione» per impiegare le parole dell’attivista
per i diritti umani Hala al- Karib.
L’articolo 152 dell’ormai ex codice penale sudanese
ad esempio stabiliva che il reato di prostituzione fosse tale «per ogni
luogo in cui delle donne sono riunite assieme a degli uomini con i quali
non hanno rapporti di famiglia». Sono migliaia nel corso dei decenni le
donne condannate a pene durissime, tra cui
la pubblica flagellazione o addirittura la lapidazione, in base alle
disposizioni dell’articolo 152. O dell’articolo 153 che definiva il
reato di “possesso di materiale contrario alla morale comune”. Del
tutto esposte alle scorribande e alle persecuzioni della polizia dei
costumi che, oltre a reprimere ogni manifestazione di libertà
individuale, ha spesso abusato del suo potere sottoponendo le donne a
ogni tipo di violenza, anche a ripetuti abusi sessuali.
Da ieri la Legge sull’ordine pubblico è stata
finalmente abrogata in un pacchetto di misure che prevede anche lo
scioglimento del National Congress Party ( Ncp), il partito dell’ex
presidente Bashir, vera e propria macchina per succhiare soldi e risorse
allo Stato. Per consiglio civile e militare che attualmente guida il
paese si tratta di un passaggio obbligato: «Le leggi sull'ordine
pubblico e la morale pubblica erano uno strumento di sfruttamento,
umiliazione e violazione dei diritti dei cittadini e una violazione
della dignità del popolo. Mando un omaggio ai giovani uomini e donne del
mio Paese che hanno sopportato gli orrori dell'applicazione di queste
leggi», scriveva ieri mattina su Twitter il primo ministro del
governo di transizione Abdalla Hamdok.
D’altra parte la partecipazione delle donne alle proteste di piazza che la scorsa
primavera hanno contribuito a rovesciare
pacificamente il regime è stata decisiva, trasfor-mando una
contestazione “economica” nata dalla lotta all’austerità e all’aumento
del prezzo del pane in un movimento politico più ampio contro il potere
del clan Bashir e contro la cultura arretrata in cui ha vissuto il
Sudan. Hanno sfidato i divieti senza aver paura delle dure ritorsioni
delle autorità. Proprio come la 22enne Alaa Salah, la giovane che dal
tetto di un’auto circondata da migliaia di manifestanti arringava la
folla intonando canti di libertà. La sua immagine ha fatto il giro del
mondo, diventando il simbolo della ribellione sudanese e del riscatto
del paese da una dittatura corrotta e sessista
Il 25 novembre nella capitale Khartoum migliaia di
persone hanno partecipato per la prima volta alla Giornata
internazionale contro la violenza sulle donne, quasi ad anticipare la
svolta di ieri in unanazione che per lunghi anni ha vissuto nelle
tenebre di un nuovo medioevo e che ora si avvia ad affrontare una
complessa transizione verso la democrazia in cui le donne per la prima
volta avranno un ruolo fondamentale.
DANIELE ZACCARIA
(by nicola)
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