Noi
tutti, firmatari di questa lettera, siamo psicoanalisti appartenenti
alla storica Società Psicoanalitica Italiana (SPI), componente
dell’International Psychoanalytical Association (IPA), della quale fanno
parte società psicoanalitiche di tutto il mondo. Molti di noi fanno
parte di un gruppo denominato PER (Psicoanalisti Europei Per i Rifugiati),
con il quale la SPI ha inteso raccogliere le esperienze di molti
psicoanalisti che già da anni operano su tutto il territorio nazionale
nel settore della migrazione. Del Gruppo PER inoltre, fanno parte anche
psicoanalisti che appartengono al gruppo denominato Geografie della Psicoanalisi che ha per scopo l’indagine e i contatti della psicoanalisi con altre culture.
Grazie
allo specifico sapere psicoanalitico, in grado di cogliere la
complessità del lavoro con i migranti e con l’intero fenomeno che
sappiamo essere attivatore di grande sofferenza psichica, è stato
possibile fornire, lavorando in strutture d’accoglienza o comunque in
contatto con i migranti, un contributo clinico scientifico in favore
dei migranti e degli stessi operatori delle varie associazioni che,
essendo in diretto contatto con i migranti, si fanno carico
quotidianamente della sofferenza psichica di cui essi sono portatori
silenti.
È proprio quest’esperienza quotidiana di contatto con il
disagio psichico profondo e con la sofferenza legata a traumi,
sradicamento e lutto migratorio che ci spinge a scrivere e ad assumere
una posizione critica, ritenendo che non si possa tacere sulle complesse
e gravi condizioni in cui versano i migranti in Italia.
La
situazione, da tempo critica, si è drammaticamente aggravata dopo il
varo e l’approvazione del “Decreto Sicurezza” che, contrariamente al
termine “sicurezza”, sta già rendendo la condizione dei migranti e,
consequenzialmente quella italiana, sempre più “insicura”. Concordiamo
con quanto Lei afferma: “la vera sicurezza si realizza, con efficacia,
preservando e garantendo i valori positivi della convivenza”.
Ed è
proprio a partire da questa Sua dichiarazione che pensiamo di poter
affermare che la convivenza non è un dato, ma una paziente tessitura da
costruire nel quotidiano, sfidando paure e diffidenze reciproche
inevitabili. L’accoglienza e la convivenza possono essere prove
difficili quanto l’esilio ed è per questo che vanno sostenute attraverso
politiche e azioni sociali capaci di dare ascolto anche al disagio
della popolazione residente, evitando che si radicalizzi quel cieco
rifiuto che si sta attivando.
E’ grave chiudere gli SPRAR, in
quanto sistemi di “accoglienza integrata”, che fino ad oggi non si sono
occupati solo del sostegno fisico delle persone immigrate, ma hanno
anche promosso percorsi di informazione, assistenza e orientamento,
necessari a favorire un loro dignitoso inserimento socio-economico.
Precludere queste opportunità non vuol dire solo annullare drasticamente
gli SPRAR, ma cancellare ogni possibilità di dare dignità alle persone
sostenendo il loro legittimo diritto di aspirare ad una vita migliore e
alla salute che, come sancito dall’OMS, “…è uno stato di completo
benessere fisico, psichico e sociale e non solo l’assenza di malattia o
infermità”.
La nuova legge, di fatto, rende impossibile
l’integrazione dei migranti in Italia, esponendoli ancora una volta al
rischio di umiliazioni e sofferenze psichiche profonde e disumane. Non
riconoscere più il permesso di soggiorno per motivi umanitari è
disumano!
Gestire il fenomeno migratorio come una pura questione
di ordine pubblico è segno di pericolosa miopia. Noi pensiamo che sia
urgente ripensare completamente anche le politiche migratorie,
riaprendo, ad esempio, i canali regolari della migrazione da lavoro,
come opportunità per avvalersi dell’apporto di energie nuove che sempre
le migrazioni riuscite hanno rappresentato e che sono alla base di ogni
autentico processo di integrazione.
Quelli di noi che operano a
Bologna, Genova, Milano, Roma, Trieste, Gorizia, Venezia, Caserta hanno
visto, dopo l’approvazione della legge, da un giorno all’altro,
centinaia di migranti lasciati in strada senza protezione. Diventati
fantasmi, privati di tutto, uomini e donne che restano esposti al
pericoloso circuito vizioso alimentato dalla condizione di bisogno
estremo, vulnerabili e inermi, assoggettabili a contesti delinquenziali
che possono spingerli/costringerli verso comportamenti anti sociali.
Tragicamente
inoltre sono aumentati percentualmente i morti in mare per la
restrizione quasi totale della possibilità di operare salvataggi da
parte delle navi di soccorso. Chi soccorre in mare può, paradossalmente
rispetto alle leggi di mare, essere soggetto a processo per il reato di
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina! Per non dire di ciò che
accade nei percorsi di terra e nell’attraversamento dei deserti.
Quanto
poi ai rimpatri, essi, di fatto, sono semplicemente impossibili in
assenza di accordi sicuri con le Nazioni di partenza. In questo
contesto, è molto grave che l’Italia non abbia partecipato al Global
Compact for Migration dell’ONU, accordo globale sull’accoglienza dei
migranti approvato con il voto favorevole di 152 Paesi.
E’
doveroso chiedersi da dove nasca questa ossessione per il migrante da
parte dei nostri governanti, che generano e alimentano paure sociali,
dal momento che gli sbarchi sono passati da circa 120.00 nel 2017 a
23.000 circa nel 2018.
Siamo consapevoli che le paure possono
accecare al punto da distorcere la percezione non solo dell’altro ma
persino della propria stessa umanità. La disumanità è un rischio
costante per l’umano in cui si può scivolare quasi inavvertitamente
spostando sempre un po’ più in là l’asticella di ciò che è tollerabile.
E’ questa la ragione per cui è ancora più necessario riuscire ad
ascoltare anche quello che si cela sotto la paura, per trasformarla in
possibilità di contatto con se stesso e con l’altro. Attraverso il
nostro lavoro di psicoanalisti siamo vicini alle complesse realtà umane e
sentiamo urgente lavorare e riflettere, anche al difuori del nostro
ambito, sulla possibilità di elaborare il “male” per prevenire il
rischio che il “male” possa essere agito.
E’ necessario operare
affinché l’inconsapevole distruttività, cui tutti siamo esposti, possa
trasformarsi in conoscenza e comprensione generatrice di consapevole
tensione verso il diverso, l’ignoto, l’altro.
Non possiamo
accettare il razzismo crescente che sfocia in atti di cui una nazione
civile dovrebbe vergognarsi. E’ in atto un diffuso, impressionante
processo di disumanizzazione. Noi analisti siamo sempre attenti quando
vediamo negli individui, nei piccoli e nei grandi gruppi, fenomeni più o
meno striscianti o palesi di razzismo e di disumanizzazione. Siamo
sensibili per formazione professionale e cerchiamo di tenere a mente
l’insegnamento della storia, anche perché nel periodo delle leggi
razziali, la psicoanalisi fu vietata e molti colleghi di allora, perché
ebrei, furono costretti a emigrare.
Operando nel settore, non
finiamo mai di stupirci di quanto dolore possa essere inflitto a un
essere umano, anche senza volerlo, anche solo girando la testa
dall’altra parte.
Conosciamo le gravi conseguenze psichiche di
tutto ciò che sta succedendo, sia in coloro che si sentono rifiutati ed
emarginati, sia nei figli che avranno, sia in coloro che si trovano a
dover operare in modo disumano e che rischiano essi stessi di
impoverirsi dei valori fondamentali dell’esistere. Non siamo disposti,
per tutti questi motivi, a vedere una parte dell’Italia abbracciare
xenofobia e razzismo. Organismi internazionali come Amnesty
International hanno segnalato questi gravi fenomeni razzisti e xenofobi
in Italia.
Un’altra Italia esiste e inizia a esprimere il proprio
profondo dissenso: noi ne facciamo parte. Lavoriamo affinché i valori
dell’ospitalità, della tolleranza, della convivenza e della
responsabilità individuale per il futuro di tutti, siano mantenuti vivi.
Siamo una “comunità di vita”, come lei ha definito il nostro Paese e,
come tale, vogliamo continuare a esistere. Non possiamo tacere perché
tacere sarebbe colpevole anche verso le generazioni future di figli e
nipoti che ci potranno chiedere dove eravamo quando un’umanità dolente e
in cerca della possibilità di ricostruire la propria identità spezzata e
perduta, veniva respinta, emarginata o segregata in modo disumano.
Ci
rivolgiamo a Lei, Signor Presidente della Repubblica, nella Sua qualità
di Garante della Costituzione e dei diritti umani e civili sui quali
Essa è stata fondata, affinché questo appello, nato dalla nostra
esperienza professionale, sostenuto dal nostro ruolo di cittadini e
dalla nostra identità di esseri umani, abbia ascolto.
Seguono 618 firme di Soci SPI
Fonte: webspi.it
(by Nicola)
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