𝗜 𝗗𝗘𝗕𝗜𝗧𝗜 𝗗𝗘𝗜 𝗠𝗢𝗟𝗜𝗦𝗔𝗡𝗜? 𝗙𝗨𝗢𝗥𝗜 𝗕𝗜𝗟𝗔𝗡𝗖𝗜𝗢!

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Nei procedimenti giudiziari degli ultimi vent’anni contro i “colletti bianchi”, tutti conclusi con un nulla di fatto, nel mio libro sulla giustizia molisana documento spese triple milionarie a carico della collettività.   Parlo di tre voci ben distinte: (𝟭) le spese, ingentissime, sostenute dallo Stato; (𝟮) quelle dei singoli indagati/imputati, spesso costretti a difendersi per anni; (𝟯) quelle rimborsate agli amministratori, politici e dirigenti, che si fanno coprire le spese legali dall’ente pubblico in cui sono stati eletti o nominati, purché non vi sia conflitto d’interessi, l’avvocato sia gradito e l’esito non sia una condanna per dolo o colpa grave.    Un bel privilegio! E non finisce qui: la spesa cresce ancora quando la Regione si costituisce parte civile e nomina un proprio legale che, se non liquidato dal giudice penale, viene comunque pagato dalla Regione. Il salasso continua.   L’ultima “stangata” è nella 𝗱𝗲𝗹𝗶𝗯𝗲𝗿𝗮 𝗱𝗶 𝗚𝗶𝘂𝗻𝘁𝗮 𝗻. 𝟯𝟳𝟴 ?...

Ecocentrismo: l’uomo non è quindi più il centro dell’universo e la natura non è più un insieme di beni utili all’uomo



I Beni comuni, la loro definizione teorica e l’individuazione pratica, catalizzano da anni l’attenzione delle comunità e di autorevoli giuristi. Le riflessioni sono polarizzate dalla contrapposizione tra accademici teorici, come Alberto Lucarelli e Ugo Mattei, già componenti della commissione Rodotà, che prospettano una riforma legislativa; e altre personalità scientifiche di rilievo, che bocciano la proposta, come da ultimo Paolo Maddalena.
Attenzione! Le scuole di pensiero sono entrambe orientate al riconoscimento del valore dei cosiddetti beni comuni, ma con approccio distante per metodo, forme e contenuti.
È stata di recente proposta una bozza che va analizzata, come le argomentazioni delle parti, per comprendere il divario tra le posizioni. Il testo affida al governo una importante modifica del codice civile chiedendo d’introdurre la categoria dei cosiddetti beni comuni, già diversamente nominati e disciplinati dalla legislazione vigente. Qui nasce la critica di chi assume che la proposta si limiterebbe a rinominare le categorie esistenti introducendo, quale unico elemento concreto di novità, un affievolimento della forza del demanio a detrimento degli interessi della collettività. Una polemica sorta anche dalla convinzione che il testo sia semplicemente un’idea trasferita dall’alta burocrazia finanziaria ad un gruppo di professionisti avvezzi all’elaborazione dottrinaria, più che all’applicazione sostanziale del diritto, resisi strumenti inconsapevoli della costruzione di una norma finalizzata alle dismissioni del patrimonio pubblico. L’obiettivo dichiarato sarebbe, pertanto, tradito dalla finalità concrete.
Se da una parte il collegio degli accademici resiste e fa della bozza una proposta di legge d’iniziativa popolare, la parte avversa invita ad incontrarsi, per elaborare un nuovo testo, che punti alla sostanza dei beni comuni. Invero, il testo proposto ha origine in un’iniziativa che risale al 2003 da parte di studiosi del ministero delle Finanze orientati dalla volontà di costruire una norma “che fosse più al passo con i tempi e in grado di definire criteri generali e direttive sulla gestione e sulla eventuale dismissione di beni in eccesso delle funzioni pubbliche”. L’attività fu riavviata nel 2007 dall’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella, che istituì una commissione sui beni pubblici affidandone la presidenza a Stefano Rodotà. Il ministro intese raccogliere le sollecitazioni provenienti da un gruppo di esperti, in occasione di una Giornata di studio svoltasi all’Accademia nazionale dei Lincei, che chiedevano di completare il lavoro avviato. Le attività della commissione si svolsero nelle 11 sedute collegiali, che consentirono d’individuare i principi ispiratori della riforma. Un disegno di legge fu presentato poi al Senato (il numero 2031 del 2010, primi firmatari Casson, Finocchiaro, Zanda) e la proposta di legge sui beni comuni di cui discutiamo ne ricalca il testo.
Da qui hanno origine le recriminazioni dei Movimenti popolari, in particolare il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, che rifiuta di aderire alla campagna di raccolta firme di una legge preconfezionata da un gruppo ristretto e istituzionale, poiché considerata priva del requisito tipico di una legge di iniziativa popolare, che è la elaborazione partecipata e democratica del testo. Nei contenuti la bozza in esame s’ispira chiaramente a una filosofia superata dalle recenti elaborazioni dottrinarie e dalla giurisprudenza. Nella modernità, la costruzione dei nuovi diritti è necessariamente fondata su un approccio ecocentrico, che vede l’uomo come parte integrante dell’ecosistema; vien riconosciuta soggettività giuridica e pari dignità a ogni elemento della natura. La scienza dimostra che l’ambiente è un bene organizzato in maniera sistemica, che esiste con l’uomo che è uno degli elementi del complesso organismo che chiamiamo Gaia. L’uomo non è quindi più il centro dell’universo e la natura non è più un insieme di beni utili all’uomo.
È evidente la distanza tra il pensiero più recente e la proposta di legge che tenta di disciplinare una soluzione di gestione dei cosiddetti beni comuni, quali oggetti del diritto al servizio dell’uomo. Ma il grande merito di tutti i giuristi impegnati sulla proposta di riforma sta nell’aver ravvivato la discussione su un tema di grande valore. I cambiamenti sono il frutto delle sperimentazioni continue, della lotta per le proprie idee e del coraggio di abbandonarle quando sorgano dubbi e nuove prospettive. Dal confronto può nascere la possibilità di una sintesi. Il dibattito, pertanto, va tenuto aperto creando un tavolo di confronto e di lavoro per la costruzione di una riforma condivisa e partecipata, che punti diritto al bene comune.

Fonte: 'Il Dubbio'

(by Nicola) 

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