
Si fa sempre più remota l'ondata di inceneritori prevista dal Governo
Renzi e mai smentita dall'attuale esecutivo. Vorrebbero aggiungere
altri di questi forni – almeno 4 nel Lazio - ai 40 in funzione, per
bruciarci anche il 10% dei materiali provenienti dalla raccolta
differenziata. Sarà la Corte di giustizia europea a verificare se è
legittima, corretta e coerente con le norme europee l'operazione avviata
con il decreto “Sblocca Italia” e definita con decreto attuativo
firmato il 10 agosto 2016 dallo stesso ex presidente del Consiglio dei
Ministri, insieme al Ministro dell'ambiente Gian Luca Galletti e al
sottosegretario Claudio De Vincenti. Il Tribunale amministrativo del
Lazio ha inviato le carte alla Corte europea con una ordinanza destinata
a segnare la storia delle politiche ambientali italiane.
Sollevando gravi dubbi sull'operazione, i tre giudici della prima
Sezione del Tar laziale, Carmine Volpe, Ivo Correale e Roberta Cicchese,
hanno dato seguito al ricorso proposto da una rete di cittadini e
attivisti ambientali: il “Movimento legge rifiuti zero per l'economia
circolare”, nato nel Lazio e formato da varie associazioni di 10 regioni
d'Italia, e associazione “Verdi Ambiente e Società - Aps Onlus” con il
supporto dell'associazione medici per l'ambiente Isde Italia e del
magistrato ex giudice Costituzionale Paolo Maddalena.
MAGHEGGI DI STATO
Il ricorso al Tar chiedeva di annullare i provvedimenti e in subordine
di rimettere la causa alla Corte europea. Il Tar ha radiografato lo
Sblocca Italia e il successivo Decreto Renzi dell'agosto 2016, ma visto
che l'operazione oltre a contraddire la legge nazionale è in forte
contrasto con la normativa dell'Unione europea, ha rimesso ai supremi
giudici dell'UE. La lista delle storture è lunga e raccapricciante:
norme scavalcate o aggirate, strani calcoli sulle quantità di rifiuti,
fabbriche anti-economiche, obsolete e inquinanti fatte passare per
moderne tecnologie utili all'ambiente e indispensabili alla nazione, ma
anche il mancato svolgimento di obbligatorie verifiche delle conseguenze
su ambiente e salute.
BLUFF DEL RECUPERO ENERGETICO E ‘PREMINENTE INTERESSE NAZIONALE’
Sia il nostro codice dell'ambiente (decreto legislativo 152 del 2006)
che le direttive UE 2008/98/CE 2001/42/CE puntano a tutt'altro.
Innanzitutto l'incenerimento e le altre forme di smaltimento che non
danno nuova vita ai rifiuti sono l'ultima opzione. In gergo, si chiama
gerarchia di trattamento: la prima cosa da fare è ridurre, riutilizzare,
recuperare gli scarti. Il contrario del bruciare. Invece, Renzi &
co. hanno ribaltato tutto, classificando come strategici e “di
preminente interesse nazionale” gli inceneritori, tralasciando le forme
più innovative, sane di gestione dei rifiuti. «Il magheggio – spiega
Massimo Piras, coordinatore di Legge Rifiuti Zero – è anche nel fatto
che la maggior parte degli inceneritori funzionanti in Italia sono
autorizzati per il solo smaltimento, senza nemmeno il recupero di
energia».
Infatti, questi mega-forni possono generare un po' di elettricità e
calore, ricevendo enormi sussidi statali. Si tratta di quelli
classificati come R1. Mentre gli altri che non ricavano nulla dalla
combustione hanno il marchio D10. E il decreto Renzi dell'agosto 2016,
che individua le quantità di rifiuti prodotte in Italia e quindi il
numero, la capacità e la localizzazione dei 'nuovi' inceneritori, in
automatico riclassifica come R1 tutti i 40 inceneritori già attivi nel
nostro Paese, come se già tutti ricavassero energia dai rifiuti
bruciati. Roba da Totò e Peppino, insomma.
NESSUNA VERIFICA DEGLI IMPATTI SU AMBIENTE E SALUTE
L'operazione targata Renzi-Galletti vorrebbe imporre 8 inceneritori da
autorizzare (non è specificato il numero di linee, cioè di forni), più
altri 5 (con 9 linee) già autorizzati ma ancora non in funzione per
bruciare un milione 831mila tonnellate l'anno di rifiuti. Una enormità:
al livello nazionale, significa incenerire oltre il 63% di materiale in
più rispetto a quello che gli inceneritori in esercizio possono
bruciare. Al livello regionale, per il Lazio sarebbe un'impennata
pazzesca: quasi il 128% in più, passando dalle attuali 348.480
tonnellate annuali a quasi 876mila! Il tutto, però, senza Valutazione
ambientale strategica. Ossia dribblando anche questo obbligo di legge
previsto in simili casi, trattando l'imponente manovra industriale alla
stregua di una semplice attività burocratica, come se far bruciare tutta
quella roba con quei giganteschi impianti sia indifferente per
l'ecosistema e la salute.
I giudici sottolineano non a caso il parere pro veritate reso dalla
“International Society of Doctors for Environment” (ISDE Italia)”: i
medici avvertono che queste fabbriche producono “una serie di rifiuti
secondari e di polveri nocive assai significativa nonché di sostanze
velenose, quali il tallio e l’ossido di azoto, secondo quanto rilevato
in un parere.
I CITTADINI: «DATI MANIPOLATI»
Non convincono nemmeno i conti utilizzati per giustificare gli
inceneritori. «Il presunto “fabbisogno residuo”, cioè quel milione e
818mila tonnellate di rifiuti annuali – spiega Massimo Piras di Rifiuti
Zero – è ottenuto con una base di calcolo errata, è un numero gonfiato
ad arte interpretando male i dati Ispra (Istituto superiore per la
protezione e la ricerca ambientale, ndr)». Il capolavoro si compie
qualificando gli inceneritori, nota il Tar, come “infrastrutture e
insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, che attuano
un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e
assimilati e che garantiscono la sicurezza nazionale
nell’autosufficienza”, “anche allo scopo di superare e prevenire
ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme
europee di settore” senza però aver dato “simile qualificazione agli
impianti di trattamento dei rifiuti ai fini del riciclo e riuso, pur
essendo tali due modalità preminenti nella gerarchia dei rifiuti di cui
alla richiamata direttiva (2008/98/CE, ndr)”.
I giudici vanno alla radice: perché questi mega forni sarebbero
strategici per il Paese e invece altri tipi di impianti no? Perché ciò
che inquina ed è antieconomico salverebbe l'Italia e ciò che invece
aiuta l'ambiente e fa sana economia circolare no? Ancora una volta ad
interpretare ed esprimere il buon senso devono essere i giudici e non i
rappresentanti scelti dal popolo. Ai giochi coi numeri si aggiungono le
truffe semantiche dei parolai: in Italia, caso unico al mondo, li
chiamano “termovalorizzatori”.
Previsti altri 4 inceneritori nel Lazio
Due mega forni a Roma, cioè le due linee per totali 182mila e 500
tonnellate l'anno a Malagrotta, una terza linea aggiuntiva a San Vittore
(FR) da 98.750 tonnellate l'anno, e uno nuovo ancora più grande da
autorizzare non si sa dove in territorio laziale (presumibilmente con
due linee, cioè due forni). Tale impianto ancora nel Lazio, da 210mila
tonnellate l'anno, sarebbe il più grande dei tre previsti per “aiutare”
il Centro Italia. Gli altri due sorgerebbero in Umbria (139mila
tonn/anno) e Marche (190mila tonn/anno). Tutto ciò lo prevede il decreto
attuativo dello Sblocca Italia firmato dall'ex capo del governo, Matteo
Renzi, in piena estate 2016. Senza dimenticare i due malandati
mega-forni di Colleferro, autorizzati a bruciare 110mila tonnellate
ciascuno: la Regione Lazio e AMA-Comune di Roma vi stanno investendo 9,3
milioni di euro per ammodernarli (revamping). Non è noto che fine
abbiano fatto i processi penali riguardo le due linee dell'inceneritore
di Colleferro: associazione per delinquere, manomissione dei dati sulle
emissioni in atmosfera, falsificazione dei certificati, traffico
illecito di rifiuti tossici e poi anche truffa aggravata allo Stato per i
sussidi Cip6 (oltre 60 milioni di euro), peculato, bancarotta
fraudolenta, corruzione. Ironia della sorte, quell'ecomostro fu voluto
dall'ex presidente della Provincia di Roma Silvano Moffa: quello che
divenne sindaco dell'inquinatissimo Comune con la lista “Aria Nuova”…
E l’inceneritore di Albano?
Archiviato il progetto dell'inceneritore più grande d'Europa (copyright
Manlio Cerroni) ai piedi dei Castelli Romani, a due passi da Aprilia,
Pomezia, Ardea e IX Municipio romano. “Per l'impianto di Albano Laziale,
la Regione Lazio ha comunicato – giusta nota prot. n. 667897 del 2
dicembre 2015 – che il termine della validità dell'Autorizzazione
integrata ambientale di cui alla Determinazione n. B3694 del 13/8/2009 è
trascorso, la autorizzazione medesima si intende decaduta”. Così si
legge nell'allegato 1 al decreto del presidente del Consiglio dei
Ministri 10 agosto 2016, attuativo dello Sblocca Italia.
L'autorizzazione in discorso è quella firmata dall'allora governatore
Piero Marrazzo, nell'epoca in cui “Cerroni e il suo avvocato Avilio
Presutti dettavano contenuti degli atti pubblici da emanare”, come
scrive il Giudice per le indagini preliminari Massimo Battistini
ordinando l'arresto di Cerroni con altri 7 personaggi del settore
rifiuti a gennaio 2014. L'inceneritore di Albano sarebbe costato mezzo
miliardo di soldi pubblici sotto forma di sussidi Cip6, grazie ad un atto
firmato da Marrazzo fuori tempo massimo. Il progetto fu presentato dal
consorzio Coema, formato dal gruppo Cerroni, Ama e Acea.
Redazione 'Il caffè.tv'
(by Nicola)
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