mercoledì 2 dicembre 2020

Il diritto internazionale come barriera per proteggere tutti gli ecosistemi

Sono diversi i fattori che determinano l’estinzione delle specie animali. In primo luogo, emerge il cambiamento climatico. In secondo luogo, compare la distruzione degli ecosistemi, con le città che prendono il posto delle aree naturali.

In terzo luogo, alcune specie animali sono sovrasfruttate e a rischio di estinzione. In quarto luogo, anche l’introduzione di nuove specie animali può minacciare la sopravvivenza delle specie native. In quinto luogo, l’inquinamento mette a repentaglio le specie animali, inclusi naturalmente i disastri ecologici provocati, per esempio, dalla fuoriuscita di petrolio dalle navi negli oceani. La vulnerabilità degli ecosistemi è resa evidente dalla perdita di biodiversità, la quale per un verso è sempre più accelerata e, per altro verso, è causata dal comportamento dell’uomo.

Un soccorso può venire dal diritto internazionale, in particolare dalla Convezione sulla diversità biologica (conosciuta anche come Convenzione di Rio de Janeiro) del 1992.

Si tratta, però, di trasferire le previsioni internazionali sul piano del diritto municipale (o interno). La divaricazione tra Paesi di civil law e di common law (ancora) sussiste, sotto il profilo ora in esame. I primi sono spesso propensi a considerare le norme internazionali come parte integrante del diritto interno. I secondi, invece, applicano (molto) meno frequentemente le norme dei trattati internazionali, anche se in verità tendono a considerare il diritto consuetudinario come parte del diritto municipale.

Non vi è dubbio, comunque, che il diritto internazionale viene utilizzato dalle Corti di giustizia per interpretare il diritto interno. Questo avviene specialmente negli Stati in via di sviluppo (o Paesi emergenti) per l’interpretazione del diritto municipale, ma non mancano importanti casi nei Paesi più avanzati; basti pensare all’esperienza olandese e alla decisione della Corte suprema del Paese nella vertenza Urgenda Foundation v. De Staat der Nederlanden del 20 dicembre 2019, in materia di “taglio” delle emissioni, che è stata “ispirata” sia dal diritto europeo che da quello internazionale.

I trattati internazionali sulla biodiversità che possono essere utilizzati come fonti di ispirazione dalle Corti interne non sono rappresentati soltanto dalla Convenzione sulla diversità biologica. Vengono in rilievo la Convenzione sulla conservazione delle specie selvatiche migratorie di animali selvatici (c. d. Convenzione di Bonn) del 1979, nonché prima ancora la Convenzione sulle zone umide (c. d. Convenzione di Ramsar) del 1971.

Se le Corti interne interpretano la legislazione domestica alla luce delle convenzioni internazionali in materia di protezione e conservazione della biodiversità (queste ultime intese nel senso ampio sopra precisato), si pongono ulteriori problemi di non poco conto, rappresentati innanzi tutto dall’attribuzione o meno di una (limitata) personalità giuridica alle specie  non-umane.

Ammesso che ciò sia ammissibile, bisogna poi chiedersi chi può agire a tutela delle specie animali. La risposta potrebbe essere: le ong e/o associazioni il cui fine sia la protezione e conservazione degli animali nel pianeta. Una indicazione importante in subiecta materia è fornita dal Principio n. 10 della Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo del 1992, dove si parla di promuovere la partecipazione della società civile, l’accesso alle informazioni nonché l’accesso alla giustizia nelle questioni ambientali, stabilendosi che tale accesso deve essere effettivo.

Naturalmente, non ogni singolo animale appartenente alla specie potrebbe disporre di siffatta protezione. Mutatis mutandis, non molto diverso è l’approccio in tema di protezione dei popoli indigeni qualificati come gruppo di persone, titolari per esempio del diritto all’autodeterminazione ai sensi della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 13 settembre 2007.

Si tratta, infatti, di una Dichiarazione per la protezione non dei singoli individui di etnia indigena, ma di un gruppo di persone. Questo potrebbe forse valere, con gli opportuni adattamenti, anche per gli animali, quantomeno nella prospettiva de iure condendo.

MAURO MAZZA, PROF. DIRITTO COMPARATO UNIV. BERGAMO

(by nicola) 

 

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