
Tra
cinquanta giorni, il prossimo 4 dicembre, il Governo Renzi chiederà
agli italiani: «volete contare di meno, volete meno democrazia, volete
darci mano libera?».
Noi risponderemo di No. Perché non vogliamo contare di meno,
non vogliamo meno democrazia, non vogliamo dare mano libera a questo,
come a qualunque altro governo.
Una classe politica incapace e spesso corrotta prova a
convincerci che la colpa è della Costituzione: ma non è così. A chi ci
dice che per far funzionare l’Italia bisogna cambiare le regole,
rispondiamo: noi, invece, vogliamo cambiare i giocatori.
Questa riforma non abbatte i costi della politica: fa
risparmiare 50 milioni l’anno (non 500 come dice il Presidente del
Consiglio, mentendo), che è quanto gettiamo ogni giorno in spesa
militare. Come possiamo credere alla buona fede di un governo che
sottrae somme enormi al
bilancio pubblico permettendo alla Fiat (ma anche all’Eni, controllata
dallo Stato) di pagare le tasse in altri paesi, e poi viene a chiederci
di fare a brandelli le garanzie costituzionali per risparmiare un
pugno di soldi?
Questa riforma non abolisce il Senato: che continuerà a fare le
leggi seguendo numerosi e tortuosi percorsi. Quella che viene abolita è
la sua elezione democratica diretta: il Senato farà la fine delle
attuali provincie, che esistono ancora, spendono denaro pubblico, ma
sono in mano ad un personale nominato dalla politica, e non eletto dal
popolo.
Questa riforma consentirà a una maggioranza gonfiata in modo
truffaldino dalla legge elettorale su cui il governo Renzi ha chiesto
per ben tre volte la fiducia di scegliersi il Presidente della
Repubblica e di condizionare la composizione della Corte Costituzionale
e del CSM.
Questa riforma attua in modo servile le indicazioni esplicite
della più importante banca d’affari americana, la JP Morgan, che in un
documento del 2013 ha scritto che l’Italia avrebbe dovuto liberarsi di
alcuni ‘problemi’ dovuti al fatto che la sua Costituzione
è troppo «socialista». Quei ‘problemi’ sono – nelle parole di JP Morgan
–: «governi deboli; stati centrali deboli rispetto alle regioni;
tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori; il diritto di
protestare se cambiamenti sgraditi arrivano a turbare
lo status quo». Matteo Renzi dice che il suo modello politico è
Tony Blair, il quale oggi percepisce due milioni e mezzo di sterline
all’anno come consulente di JP Morgan. E la domanda è: a chi giova
questa riforma costituzionale, ai cittadini italiani o agli speculatori
internazionali?
Ma negli ultimi giorni anche osservatori legati alla finanza
internazionale stanno iniziando a farsi qualche domanda. Il «Financial
Times» ha definito la riforma Napolitano-Renzi-Boschi «un ponte che non
porta da nessuna parte». La metafora è particolarmente
felice, visto che la campagna referendaria di Renzi è partita con la
resurrezione del Ponte sullo Stretto, di berlusconiana memoria.
E in effetti c’è un forte nesso tra la riforma e le Grandi
Opere inutili e devastanti: il nuovo Titolo V della Carta è scritto per
eliminare ogni competenza delle Regioni in fatto di porti, aeroporti,
autostrade e infrastrutture per l’energia di interesse nazionale:
e spetta ai governi stabilire quali lo siano.
Così il disegno si chiarisce perfettamente: lo scopo ultimo
della riforma è umiliare e depotenziare la partecipazione democratica.
Sarà il Presidente del Consiglio e il suo Governo, quali che essi siano
oggi e domani, a decidere dove fare un inceneritore o un aeroporto:
senza possibilità di appello. È la filosofia brutale dello Sblocca
Italia: mani libere per il cemento e bavaglio alle comunità locali. Il
motto dello Sblocca Italia è lo stesso della Legge Obiettivo di
Berlusconi: «Padroni in casa propria». Un motto dalla genealogia
dirigistica che ben riassumeva l’idea di poter disporre del territorio
come padroni.
Ebbene, nel Mulino del Po di Riccardo Bacchelli un
personaggio dice che la sua idea di buongoverno è che «tutti siano
padroni in casa propria e uno solo comandi in piazza». Non è questa la
nostra idea di democrazia: è a tutto questo che, il 4 dicembre,
diremo NO.
(by Nicola)
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