domenica 8 marzo 2020

Coronavirus - Correlazioni finanza e l'inquinamento


Allevamenti intensivi, emissioni inquinanti, scomparsa degli habitat: questo alla base del Coronavirus.
Il Coronavirus è una delle conseguenze di inquinamento e deforestazione, cambiamenti climatici e altre abitudini umane come la tendenza crescente alla concentrazione in grandi metropoli e l’aumento senza precedenti nell’intensità dei viaggi e delle spedizioni commerciali. Lo sapevamo già, la ricerca lo aveva previsto molte volte, ma mai come in questo momento è utile ricordarlo. Non è un caso – ha scritto Mario Tozzi su La Stampa qualche giorno fa – che l’epidemia che raggela le economie mondiali sia letteralmente esplosa in due delle zone più inquinate e stressate del pianeta: Hubei e la Pianura Padana (denunciata di recente anche per lo sversamento illegale di liquami dei suoi allevamenti industriali e notoriamente una delle zone più inquinate d’Europa, a partire da Brescia).

Lo studio su PNAS

In particolare, un recente studio ha evidenziato che il rischio di insorgenza di pandemie dipende dal modo in cui le attività antropiche influiscono sulle aree naturali e gli animali selvatici. Condotto con il coordinamento di ricercatori dell’Università Sapienza di Roma, e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences), lo studio spiega che Covid-19, Ebola, Sars, Zika, MERS, H1N1 sono tutte pandemie di origine zoonotica: sono state trasmesse cioè dagli animali, soprattutto selvatici.

Perché è successo?

Si associano alle alte densità di popolazione umana, al crescente sovrappopolamento delle metropoli, che ovviamente rendono più facile il contagio, ma partono dai livelli insostenibili di caccia e traffico di animali selvatici (per i quali la Cina ha promesso un bando, ma temporaneo), alla perdita di habitat naturali (soprattutto foreste) che aumenta il rischio di contatto tra uomo e animali selvatici (non sapendo dove altro andare, gli animali sopravvissuti ai disboscamenti di avvicinano alle fonti di cibo: le città) e all’intensificazione degli allevamenti di bestiame (specie in aree ricche di biodiversità). I ricercatori sostengono che il rischio di insorgenza di malattie infettive rappresenti un punto cieco nei piani di sviluppo sostenibile, cui non vengono dedicate sufficienti misure di prevenzione. E se ne vedono infatti gli effetti; ma era il 2007 quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità avvertiva per la prima volta che le infezioni virali, batteriche o da parassiti sono una delle minacce più consistenti in un Pianeta dove il rischio del cambiamento climatico si fa sempre più grave.

Non solo virus

Un clima più tiepido e inverni più corti avvantaggiano zanzare e topi, entrambi (ma soprattutto le zanzare) killer dell’uomo. Sono parassiti che possono – grazie al caldo indotto cai cambiamenti climatici – rimanere più a lungo attivi, ma anche viaggiare più lontano grazie a una frequenza dei voli che non è mai stata così elevata come oggi, e raggiungere nuovi posti dove le difese non sono ancora state sviluppate. E fare strage: molti allarmi inascoltati parlano dell’arrivo di febbri malariche e l’Italia ne sa qualcosa, monitorando con estrema attenzione l’aumento di casi di Chikungunya, Dengue e Zika. La prima è ormai un incubo per il nostro Paese.

Anche lo smog fa – direttamente – la sua parte

Un gruppo di ricercatori cinesi ha studiato la correlazione tra smog, polveri sottili e problemi respiratori, scoprendo che le polveri trasportano microganismi: inclusi batteri, funghi e virus, che grazie all’inquinamento dell’aria vengono sollevati dal suolo assieme alle polveri e finiscono nei nostri polmoni. Questo comporta un aumento di malattie e allergie.

Fonte: people for planet.it

(by nicola)

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