«A sei anni i militari turchi arrivarono in piazza
coi fucili mentre giocavo a pallone con i miei amici. D’istinto
fuggimmo. Ma ci convocarono in caserma il giorno dopo e ci obbligarono a
schiaffeggiare i nostri padri. Fu umiliante. Da allora non son riuscito
più a guardare in faccia mio papà». È quel giorno del 1978 che Hikmet
Aslan scopre cosa significhi essere curdo. Cittadino italiano dal 2008,
molisano per scelta, Aslan oggi ha una sola priorità: dar voce agli
oltre 5 milioni di curdi sparsi tra Europa e Medio Oriente, attraverso
una tv satellitare, Medya Haber, che trasmette news in lingua turca da
Campobasso.
Nelle stesse ore in cui Erdogan e Putin
sottoscrivono un accordo per spartirsi le aree di influenza nella Siria
del Nord «sulla pelle dei curdi», Aslan racconta la sua storia - fatta
di violenze, torture e fuga - senza particolare trasporto, quasi col
distacco del cronista. Militante dal 1990 del Pkk, il partito dei
lavoratori curdi di Abdullah Ocalan, considerato un’organizzazione
terroristica da Turchia, Stati Uniti e Unione europea, il curdo molisano
non nasce in una famiglia di combattenti per l’indipendenza. Anzi,
fino all’adolescenza si vergogna quasi di condividere la stessa
provenienza etnica di chi ha scelto la lotta armata. «Ero convinto che
quelli del Pkk fossero solo dei terroristi,
come ci ripetevano i turchi. Non volevo avere nulla a che fare con
loro», spiega. Ma uno alla volta, i componenti della sua famiglia
vengono ammazzati o finiscono in carcere. «In Turchia, non c’è una casa
curda senza un morto o un detenuto», continua Hikmet. Il primo a
cadere è uno zio, assassinato dai gruppi integralisti di Hezbollah,
organizzazione omonima a quella libanese ma non connessa, che nei
primi anni Novanta compie usa serie di omicidi tra la popolazione
civile. L’obiettivo è eliminare i simpatizzanti del Pkk anche a Batman,
la città di Hikmet, «col sostegno di Ankara», dice. Poi tocca a un altro
zio, accoltellato in città, e a un altro ancora, di 88 anni, finito in
cella per sospette simpatie marxiste. Ma è proprio in carcere che
l’anziano parente conosce il Pkk e si avvicina alla causa. Come aveva
già fatto da tempo un cugino di Hikmet, che in galera muore per le
percosse.
Ma è un altro episodio che fa scattare qualcosa nella coscienza di
Aslan. È il 1990, la sua famiglia è riunita a cena e festeggia la
recente elettrificazione del villaggio. I ragazzi giocano con
l’interruttore della luce, accendono e spengono incuriositi dalla
novità. A un tratto rumori nel cortile. Il padre va alla porta per
capire cosa stia accadendo. Torna dopo parecchi minuti col volto
insanguinato. Fuori ci sono i militari e vogliono evacuare
l’abitazione, sono convinti che il gioco di luci sia un segnale in
codice per i combattenti. «È stato terribile, una violenza gratuita»,
racconta. «Pochi giorni dopo ero in montagna per arruolarmi nel Pkk.
Volevo vendicarmi, avrei ucciso chiunque mi avessero chiesto di
ammazzare, anche bambini se necessario», ammette con una sincerità
disarmante. «Mi dissero di tornarmene a casa, che non era
l’atteggiamento giusto per servire la causa del popolo curdo, che noi
non potevamo essere come loro. Ho capito e mi hanno fatto restare». Da quel momento sposa la lotta
armata e per tre anni si sposta insieme all’” esercito di Ocalan”. Fino
a quando non viene catturato in Iran.
Trascorre un anno nelle carceri iraniane, fino all’estradizione in
Turchia, grazie a uno scambio di prigionieri tra Teheran e Ankara:
guerriglieri del Pkk in cambio di mujaheddin del popolo. «I turchi mi
hanno torturato per 40 giorni, volevano avere informazioni dettagliate
sugli spostamenti del Pkk. Avevo gravi problemi di salute in quel
periodo, ero stato ferito in un combattimento e non ricordavo davvero
nulla. Per fortuna. Perché se avessi parlato mi avrebbero condannato
probabilmente a vita. Invece, dopo due anni e mezzo di processo non
erano riusciti a trovare nulla sul mio conto e son tornato libero».
Nei due anni successivi cambia vita. Si innamora e si sposa, lasciando la lotta armata. «Non puoi stare dentro l’organizzazione se sei sposato, è una regola ferrea del Pkk, come per i preti», dice scherzando. Ma i servizi turchi continuano a tenerlo d’occhio e nel 1999 si ritrova in casa agenti dello Jitem che gli propongono due alternative: trasformarsi in un informatore dietro lauto compenso o abbandonare il Paese per la sua sicurezza. Non ci pensa due volte Aslan. Dopo pochi giorni è già a Smirne con la moglie e si imbarca su una bagnarola insieme ad altre 240 persone.
«Siamo stati in mare per sette giorni in
condizioni disumane. La mancanza di cibo e, soprattutto, d’acqua era
insopportabile». Lo sbarco avviene sulle coste lametine, in Calabria,
regione che gli rimarrà nel cuore a lungo. Anche quando arriverà in
Germania pochi mesi dopo, tutelato dallo status di rifugiato politico,
un tetto garantito e 800 marchi al mese per le spese. L’integrazione
con i tedeschi non sembra semplice. «Era difficile uscire dal cerchio
della comunità curda, ma io avevo voglia di stare in mezzo alle persone
che mi stavano ospitando, di interagire. Per questo sognavo il ritorno
in Calabria, dove in poco tempo avevo fatto un sacco di nuove
amicizie». Hikmet conosce un italiano che però non ha alcun contatto
con la punta dello Stivale. È molisano e può dargli una mano a trovare
un lavoro a Campobasso. Il curdo accetta il sostegno, rinuncia alla
protezione internazionale acquisita in Germani e si lancia verso una
nuova vita. «Mentre mi attraversavo in treno il Molise guardavo quelle
colline e miei occhi sorridevano, guardavo mia moglie e immaginavo già
il nostro futuro qui». Per qualche tempo fa il muratore, poi il
mobiliere per otto anni e infine la passione per la Tv che si trasforma
in un impiego. Nel frattempo, ottiene la cittadinanza italiana, senza
mai abbandonare l’impegno politico a sostegno della causa curda e del
confederalismo democratico. «Sono tornato più volte nel Kurdistan
iracheno, grazie a una onlus italiana. Stiamo costruendo un ospedale
nel campo profughi di Mahmur. Non ho mai dimenticato il mio popolo».
Fonte: Il Dubbio
(by Nicola)
Nessun commento:
Posta un commento