Il nuovo
governo, annunciato ieri con la lista dei suoi ministri, ha dimenticato, ancora
una volta, la necessità di salvaguardare, tutelare e valorizzare il territorio,
quale fondamentale “Bene comune”,
strategico per quel nuovo tipo di
sviluppo di cui ha bisogno il Paese.
Con il
territorio ha dimenticato, anche, il peso e l’importanza dell’agricoltura,
attività oggi più che mai primaria. Non per il suo contributo alla costruzione
del Pil, ma perché settore centrale e, come tale, fondamentale per: la
salvaguardia della biodiversità; la bellezza del paesaggio; la cura
dell’ambiente; il contributo che può dare alla risoluzione dei problemi, sempre
più gravi, posti dal la situazione climatica; il recupero delle aree marginali;
la crescita occupazionale e imprenditoriale; il rilancio di una neoruralità, quale
espressione di valori e di risorse che ci appartengono; un diverso e più
stretto rapporto città –campagna, che vuol dire anche un diverso rapporto
produttore-consumatore; l’avvio di una soluzione delle due annose questioni,
agraria e meridionale; l’affermazione del glocale
(diversità e garanzia di qualità) sul globale
(uniformità e quantità).
Tutto nelle
mani di coltivatori, soprattutto giovani, capaci di riprendere, con le
innovazioni (la prima e la più importante è il biologico, quale ritorno a
un’agricoltura organica e rigenerativa) e la multifunzionalità, il legame con il passato, interrotto dalla
spinta, data dai piani europei e nazionali, a un’agricoltura industrializzata.
Con questo tipo di agricoltura prende il sopravvento: la chimica, che ha stravolto il processo
naturale di fertilità espresso da un terreno che è tale perché ricco di vita; la
macchina che ha sostituito l’uomo, rompendo un rapporto costruttivo, che durava
da diecimila anni, quello dell’uomo con la natura, cioè il mondo animale e
vegetale.
Parlare di
territorio e della sua attività principale, l’agricoltura, vuol dire, anche e
soprattutto, parlare di cibo, e nel caso specifico di un’agricoltura contadina
- la sola che l’Italia può permettersi – quella che da sempre coltiva la
qualità e diversità con i cinquemila prodotti tradizionali espressi dal
territorio e dalla ruralità; le 299 eccellenze Dop e Igp; i 75 vini Docg/Dop; i
330 vini Doc/Dop e i 118 vini Igt/Igp.
Un insieme
di primati dei territori italiani, nel segno delle colline e della
biodiversità. Cibo di qualità, quello che è alla base di uno stile di vita, oggi
patrimonio culturale del’umanità, la Dieta Mediterranea, basato su
un’alimentazione amica della salute.
Una
ricchezza immensa che, purtroppo, in mancanza di politiche e strumenti promozionali,
si promuove da sola, mentre altri Paesi, nostri concorrenti, definiscono
programmi e progetti che servono all’affermazione
della loro offerta sui mercati sempre più globali. Noi ci accontentiamo di
raccattare quello che ci arriva e, leggendo i resoconti, ce ne vantiamo anche.
Si registra
la mancanza di una cultura, quello della comunicazione, per di più nell’era
della conoscenza, che tocca principalmente il mondo dell’agricoltura e della
trasformazione dei suoi prodotti, con una perdita molto alta di
opportunità e di reddito per un mondo,
quello agricolo, che di opportunità e di reddito ha un forte bisogno.
La dimenticanza
del territorio e dell’agricoltura nei piani del nuovo governo – il ragionamento
resta tale anche se scrivo scarsa attenzione - renderà ancora più difficile il ruolo del
nuovo ministro - torna ad essere donna del nostro sud - che ha il compito, urgente, di predisporre
programmi e progetti capaci di frenare e, nel contempo, rilanciare la sola
agricoltura possibile per la natura dei nostri territori, quella che vede
l’uomo protagonista e non la macchina e la chimica, che sono e devono rimanere
strumenti da utilizzare poco o niente.
Si può
parlare dell’agricoltura – è una mia convinzione - solo se una donna o un uomo
sono i suoi protagonisti.
La sola agricoltura
capace di alimentare la fertilità del suolo e non di distruggerla; presidiare
il territorio e non di portalo all’abbandono; dare una risposta, di bontà e di
salute, agli attuali 7,5 miliardi di esseri umani che abitano il globo e,
anche, ai 10 miliardi che lo abiteranno nel 2050. Non pensare all’agricoltura
vuol dire programmare, ancora una volta, uno sviluppo bloccato in partenza in
mancanza del perno necessario perché possa girare, e, così, procedere per
andare avanti, lontano.
Un’agricoltura,
certo, da riorganizzare con nuove forme associative perché la qualità e la
diversità diventino possibilità di un’offerta capace di rispondere alla domanda
del mercato che si vuole conquistare.
Sta qui la
necessità di un’agricoltura che torni ad essere perno di un nuovo tipo di
sviluppo, con le sue produzioni da promuovere e valorizzare per fare di essa una
componente ancora più forte dell’immagine dell’Italia.
Fare questo
anche per attivare i turismi possibili che il mondo rurale e la sua attività
sono in grado di promuovere e realizzare, grazie al primato delle eccellenze enogastronomiche, tutti straordinari
testimoni dei territori di origine della qualità e dei valori della ruralità. Con la
possibilità di vedere lo splendore di paesaggi unici e di gustare la bontà dei
prodotti, c’è anche quella di vivere esperienze uniche e irripetibili.
Pasquale Di
Lena
(by Nicola)
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