Per
comprendere il significato del documento che i leader dei 27 Stati
membri e delle istituzioni dell’Unione Europea hanno sottoscritto a
Roma il 25 marzo 2017, occorre chiarire cosa dobbiamo intendere con
la parola Europa.
Il
significato, sempre sottinteso, della parola Europa oscilla tra il
concetto di confederazione e quello di federazione. I due concetti si
differenziano sotto il profilo della sovranità. Nella confederazione
gli Stati membri conservano la loro piena sovranità ed hanno
soltanto l’obbligo di rispettare i trattati da loro sottoscritti.
Nella federazione la sovranità è divisa tra i singoli Stati, che
debbono provvedere al benessere dei loro cittadini, e lo Stato
federale che è competente nelle materie di interesse generale e deve
provvedere a soddisfare gli interessi comuni di tutti i cittadini
federati.
L’Europa
di oggi, anzi l’Unione Europea di oggi, non è né l’una né
l’altra forma di Stato e spesso travalica le proprie competenze
incidendo profondamente in quelle riservate agli stessi Stati membri.
In
sostanza l’Unione Europea non esiste. Il potere decisionale infatti
spetta al Consiglio dei Ministri che non è eletto dal popolo
europeo, mentre il Parlamento eletto dal popolo ha solo il potere di
emettere dei pareri conformi. Ciò significa che la politica
economica e monetaria dei singoli Paesi è concertata tra 27 Stati,
il che fa sì che gli Stati più forti sopraffanno quelli
economicamente più deboli.
Nell’attuale
situazione ci sono Stati come la Francia e la Germania che mantengono
inalterato il loro stato sociale e non sono sottoposti alla politica
dell’austerità, mentre altri Stati, come quelli del sud Europa
sono sottoposti a questo tipo di politica e quindi ad un’azione
corrosiva che porta alla recessione, alla disoccupazione e alla
svendita persino dei territori. Questa non è Europa. L’Europa
nella quale dobbiamo credere è una vera Europa federale nella quale
i singoli Stati agiscono su un piano di assoluta parità nel
perseguire l’interesse della federazione.
Quanto
hanno sottoscritto i leader dei 27 Stati membri, fatta eccezione per
talune espressioni enfatiche, come “il sogno di pochi e la speranza
di molti”, oppure “renderemo l’Unione Europea più forte e più
resiliente”, dimostra con tutta evidenza che l’obiettivo è
quello di affermare i principi del neoliberismo imperante a favore
delle banche e delle multinazionali e contro gli interessi dei
popoli. Infatti i sottoscrittori della dichiarazione di Roma parlano
di un’Unione “competitiva e sostenibile”, di “una moneta
unica stabile e ancora più forte”, di “opportunità di crescita,
coesione, competitività, innovazione e scambio”, nonché di
“crescita sostenuta e sostenibile”, e infine di “riforme
strutturali” con evidente riferimento in quest’ultimo caso alla
necessaria demolizione degli Stati nazionali, i quali invece devono
avere una loro vita ed autonomia nell’ambito di una reale
federazione.
Non
sfugga inoltre che i predetti leader europei pongono come fine
immediato “il completamento dell’unione economica e monetaria”
e “un’unione in cui le economie convergano”. In questo quadro
appaiono come assolutamente vani i riferimenti al “progresso
economico e sociale”, alla “diversità dei sistemi nazionali”,
al “ruolo fondamentale delle parti sociali” e il riferimento
esplicito al principio di sussidiarietà.
La
verità è che il Consiglio europeo attuale vuole continuare sulla
via del neoliberismo economico ignorando deliberatamente il pensiero
keynesiano che è l’unica via da seguire per risolvere la presente
crisi economica attraverso la redistribuzione della ricchezza alla
base della piramide sociale.
Eppure
un esempio da seguire lo abbiamo tutti: è la sezione terza, parte
prima, della nostra Costituzione dedicata “keynesianamente” ai
rapporti economici.
Paolo
Maddalena
(by Nicola)
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