Gli urbanisti che hanno modellato le città europee a fine
‘800 hanno fatto a gara nella realizzazione di grandi viali alberati e parchi
urbani.
Genova, pur con i limiti della sua orografia, non è stata da
meno con i filari di platani di corso Torino, corso Firenze, del parco
dell’Acquasola…
Oggi i tempi sembrano cambiati: gli alberi rubano posti
macchina, ostacolano la realizzazione di box interrati, sono un pericolo per
l’incolumità, sporcano, la loro manutenzione è un costo insostenibile.
Le conseguenze di questa nuova mentalità utilitaristica sono
ben visibili: il verde cittadino si riduce a vista d’occhio e il degrado, nei
vecchi parchi e viali, è l’elemento dominante.
Questa scelta ha un pesante costo, anche in termini
economici.
Numerosi studi hanno verificato che gli alberi in città
esplicano importanti e vitali funzioni,
oltre a quelli estetici e paesaggistici.
Oltre ad assorbire importanti quantità di anidride carbonica
dall’atmosfera, numerosi studi hanno confermato che, nelle aree alberate,
l’inquinamento atmosferico è nettamente inferiore a quello che si registra
nelle zone dove dominano cemento e asfalto.
L’effetto anti-iquinamento degli alberi deriva dagli stomi
presenti nelle foglie, piccole aperture attraverso le quali le piante
respirano, assorbendo anidride carbonica ed emettendo ossigeno.
Gli stomi assorbono anche gli inquinanti gassosi (ossido di
carbonio, ossidi di azoto, anidride solforosa, ozono) e successive trasformazioni
chimico-fisiche che avvengono nelle foglie li inertizzano.
Gli stessi stomi sono efficaci trappole delle polveri
sottili e dei metalli tossici e dei composti mutageni che si concentrano su
queste polveri.
Un recente studio ha valutato che nelle aree urbane degli
Stati Uniti d’America gli alberi assorbono, ogni anno, 27.000 tonnellate di
polveri sottili (PM2,5), 68.000 tonnellate di ossidi di azoto e 523.000
tonnellate di ozono.
Lo stesso studio ha calcolato il valore economico di questa
depurazione dell’aria, in termini di evitate spese sanitarie e di morti (850
decessi/anno) che questi inquinanti avrebbero potuto indurre: 4,6 miliardi di
dollari all’anno.
Se nel conto economico s’includono anche i danni che
l’inquinamento produce nei materiali e negli edifici (corrosione metalli,
precoce invecchiamento infissi, intonaci, cemento) il costo annualmente evitato balza ad 86
miliardi di dollari.
Negli anni scorsi alcuni studi sulla capacità delle piante
di assorbire inquinanti sono stati condotti anche a Genova e hanno riguardato imetalli pesanti presenti nelle foglie dei lecci presenti vicino alle centralineper il controllo dell’inquinamento e gli
idrocarburi policiclici aromaticiassorbiti sugli aghi di pino, raccolti
in diversi punti del ponente cittadino,lungo il torrente Varenna.
In questi studi, condotti alla fine degli anni ’80 e nel
2005 dal Servizio di Chimica Ambientale dell’Istituto Tumori di Genova, la
contaminazione delle foglie è stata studiata come metodo per valutare il
livello medio d’inquinamento delle zone della città dove sorgevano gli alberi
monitorati.
Per la cronaca, la maggiore quantità di piombo (5,2
microgrammi per grammo di foglia) fu trovato nei lecci di Brignole mentre i
pini di Granara e villa Doria, vicini ad aree trafficate, mostrarono la
maggiore quantità di idrocarburi aromatici (maggiore di 250 nanogrammi per
grammo di foglia), rispetto ai pini cresciuti in aree rurali quali Vaccarezza e
i Piani di Praglia.
Ipotizzando che un leccio abbia 200.000 foglie, lo studio
genovese suggerisce che, in quegli anni, ogni pianta sottraeva dall’atmosfera e
dai polmoni di chi passava da quelle parti, 416.000 microgrammi di piombo
emesso dalle auto circolanti nella piazza, la quantità di piombo che, in base
ai dati delle centraline, si trovava in circa 280.000 metri cubi d’aria di
questa piazza.
Oggi, grazie alla benzina “verde” il piombo non è più un
problema, ma gli obiettivi di qualità delle polveri sottili a Genova, come in
tutte le città italiane continuano a non essere rispettati e conseguentemente
dobbiamo affrontare pesanti costi sanitari evitabili, come abbiamo visto, anche
grazie ad un auspicabile “rimboschimento” delle nostre aree urbane.
A quando una revisione del decreto “Sblocca Italia” che preveda
la realizzazione della “Grande Opera” in grado di offrire ad ogni Italiano la
quantità di verde urbano che gli spetta, degna di un paese moderno?
Federico Valerio
(by Nicola)
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