martedì 28 ottobre 2014

Carne da... mattone!

Usa il solito modo disinvolto da “uno di noi”, il presidente Renzi, raccontando il nuovo decreto. E sceglie parole semplici che arrivano a segno, come il titolo.
Sblocca-Italia.
Ma questo film l’abbiamo già visto, e non ha un lieto fine.
Comincia con il classificare una situazione di ordinaria complessità, da affrontare ogni giorno con gli strumenti dell’analisi e della pianificazione, come un’“emergenza” che richiede provvedimenti “straordinari” e soprattutto “urgenti”.
“Misure urgenti in materia di porti e aeroporti”, “Misure urgenti per le imprese”, “Misure urgenti in materia ambientale”, “Misure urgenti in materia di energia”.
E lo slogan “tempi più rapidi” è il primo passepartout da cui discendono tutti gli altri. Intanto perché permette di comprimere il periodo necessario ad effettuare tutte le verifiche preliminari per prendere decisioni circostanziate:
“da adottarsi entro sessanta giorni… deve esprimersi improrogabilmente entro trenta giorni… entro il termine perentorio… decorsi inutilmente sessanta giorni…”, con un crescendo di misure “punitive” per i ritardatari:
dal silenzio/assenso (una vera manna per chi non vuole assumersi responsabilità), alla rimessa della decisione a qualcun altro. Segue il secondo “gradino”: “la semplificazione burocratica”.
“Ho ricevuto 1.617 mail dai sindaci, con tre richieste…
La terza: ‘aiutami perché ho una Sovrintendenza che mi crea problemi’. Noi ci prendiamo un impegno, non a dargli ragione, ma a convocare i soggetti interessati…” (Matteo Renzi, conferenza di presentazione dello Sblocca-Italia del 29 agosto 2014).
Certo dell’appoggio popolare, il presidente lancia l’offensiva contro i soggetti pubblici preposti alla pianificazione, alla tutela e ai controlli, che considera un ostacolo alle decisioni rapide e operative, inserendo qua e là la supplenza di un soggetto di grado superiore o di un “commissario”, che non deve più subire i lacci e lacciuoli imposti dalle istituzioni e che può aggirare molte regole poste a difesa del bene e dei beni pubblici. Anziché rendere le norme più efficaci e l’amministrazione più efficiente, si aggirano le regole e si riduce il perimetro della gestione democratica delle decisioni: “Qualora alla conferenza dei servizi il rappresentante di un’amministrazione invitata sia risultato assente, o, comunque, non dotato di adeguato potere di rappresentanza, la conferenza delibera prescindendo dalla sua presenza…” (Decreto Sblocca-Italia articolo 1 comma 4).
Il terzo atto è lo spostamento sul soggetto privato di tutta una serie di prerogative che dovrebbero restare saldamente in capo all’amministrazione pubblica. Con risultati che restano tutti da dimostrare sul piano dell’efficienza, ma che sono già ampiamente dimostrati su quello della totale inopportunità: l’iniziativa privata, forzatamente “random” perché non muove da una visione organica generale ma dalla logica del profitto particolare, diventa così la regola, mentre la pianificazione del territorio e la regia pubblica delle trasformazioni, l’eccezione. Con un ulteriore smantellamento della (già scarsa) vigilanza sui lavori da parte di chi dovrebbe rappresentare l’interesse collettivo, sostituita da sempre più estese “autocertificazioni”, “attestazioni di professionisti”, e addirittura “autocontrolli”, come quello dell’archeologia preventiva.
E i privati fanno il loro ingresso perfino nelle conferenze dei servizi, “alla pari” con gli enti che devono dare pareri sulle loro proposte…
Completano il quadro due sciagurati “effetti collaterali”, niente affatto casuali: la sempre più residuale partecipazione dei cittadini ai processi di trasformazione del territorio, e la mancanza di trasparenza su quanto si va decidendo. Avere tempi contingentati e il commissario dietro l’angolo, è un’ottima scusa per togliersi dai piedi una gestione allargata dei cambiamenti, basata sul confronto tra le amministrazione locali e le realtà territoriali. E le deroghe ad hoc e i privilegi commissariali impediscono anche il controllo democratico delle procedure.
Come veda il presidente Renzi il ruolo e il contributo dei cittadini alla “città pubblica”, lo si evince dall’articolo 24, chiamato pomposamente “Misure di agevolazione della partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del territorio”. Ebbene, la “partecipazione” consiste in un’attività di “pulizia, manutenzione, abbellimento di aree verdi”, praticamente un modo di risparmiare sul bilancio comunale, e le “misure di agevolazione” sono uno sconto sulle tasse.
Triste e significativa metafora di una filosofia che riducela vita collettiva a una somma di esistenze individuali.
Non più una comunità che si fa carico del proprio territorio (come invece sta accadendo spontaneamente ovunque), in una prospettiva più ampia di proposte e soluzioni per migliorare la vita del quartiere, ma solo “singoli” che si occupano del decoro del proprio “habitat”, in base a uno scambio/vantaggio meramente economico.
E questo la dice lunga su quanto questo governo sia sideralmente lontano dalla Costituzione italiana, dalla tradizione del “popolo della Sinistra” e anche dalla gente comune. Perché le persone hanno a cuore il proprio territorio: anche in questo momento di difficoltà, anche nei quartieri un tempo dignitosi dove si affaccia la povertà, anche nelle periferie dove la povertà è sempre più tangibile. Arrancano, ma sono ancora capaci di reagire per impedire le speculazioni, per proteggere gli alberi, per difendere quei “coccetti” che ostacolano il “rilancio dell’edilizia”. Sono uomini e donne che rifiutano “d’istinto” la visione del proprio spazio di vita come merce da sfruttare. Perché difendere il proprio territorio e la sua bellezza è difendere se stessi, la propria dignità.
E conservare ancora il senso di appartenenza a una comunità.
Questa è un’Italia che esiste e resiste ancora, e che allo “sblocca” preferisce il “prendersi cura”.

Anna Maria Bianchi

(by Nicola)

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