Usa
il solito modo disinvolto da “uno di noi”, il presidente Renzi,
raccontando il nuovo decreto. E sceglie parole semplici che arrivano
a segno, come il titolo.
Sblocca-Italia.
Ma
questo film l’abbiamo già visto, e non ha un lieto fine.
Comincia
con il classificare una situazione di ordinaria complessità, da
affrontare ogni giorno con gli strumenti dell’analisi e della
pianificazione, come un’“emergenza” che richiede provvedimenti
“straordinari” e soprattutto “urgenti”.
“Misure
urgenti in materia di porti e aeroporti”, “Misure urgenti per le
imprese”, “Misure urgenti in materia ambientale”, “Misure
urgenti in materia di energia”.
E
lo slogan “tempi più rapidi” è il primo passepartout
da cui discendono
tutti gli altri. Intanto perché permette di comprimere il periodo
necessario ad effettuare tutte le verifiche preliminari per prendere
decisioni circostanziate:
“da
adottarsi entro sessanta giorni… deve esprimersi improrogabilmente
entro trenta giorni… entro il termine perentorio… decorsi
inutilmente sessanta giorni…”, con un crescendo di misure
“punitive” per i ritardatari:
dal
silenzio/assenso (una vera manna per chi non vuole assumersi
responsabilità), alla rimessa della decisione a qualcun
altro. Segue il secondo “gradino”: “la semplificazione burocratica”.
“Ho
ricevuto 1.617 mail dai sindaci, con tre richieste…
La
terza: ‘aiutami perché ho una Sovrintendenza che mi crea
problemi’. Noi ci prendiamo un impegno, non a dargli ragione, ma a
convocare i soggetti interessati…” (Matteo
Renzi, conferenza di presentazione dello Sblocca-Italia del 29 agosto
2014).
Certo
dell’appoggio popolare, il presidente lancia l’offensiva contro i
soggetti pubblici preposti alla pianificazione, alla tutela e ai
controlli, che considera un ostacolo alle decisioni rapide e
operative, inserendo qua e là la supplenza di
un soggetto di grado superiore o di un “commissario”, che non
deve più subire i lacci e lacciuoli imposti dalle istituzioni e che
può aggirare molte regole poste a difesa del bene e dei beni
pubblici. Anziché rendere le norme più efficaci e l’amministrazione
più efficiente, si aggirano le regole e si riduce il perimetro della
gestione democratica delle decisioni: “Qualora alla conferenza dei
servizi il rappresentante di un’amministrazione invitata sia
risultato assente, o, comunque, non dotato di adeguato potere di
rappresentanza, la conferenza delibera prescindendo dalla sua
presenza…” (Decreto Sblocca-Italia articolo 1 comma 4).
Il
terzo atto è lo spostamento sul soggetto privato di tutta una serie
di prerogative che dovrebbero restare saldamente in capo
all’amministrazione pubblica. Con risultati che restano tutti da
dimostrare sul piano dell’efficienza, ma che sono già ampiamente
dimostrati su quello della totale
inopportunità: l’iniziativa privata, forzatamente “random”
perché non muove da una visione organica generale
ma dalla logica del profitto particolare, diventa così la regola,
mentre la pianificazione del territorio e la regia pubblica delle
trasformazioni, l’eccezione. Con un ulteriore smantellamento della
(già scarsa) vigilanza sui lavori da parte di chi dovrebbe
rappresentare l’interesse collettivo,
sostituita da sempre più estese “autocertificazioni”,
“attestazioni di professionisti”, e addirittura “autocontrolli”,
come quello dell’archeologia preventiva.
E
i privati fanno il loro ingresso perfino nelle conferenze dei
servizi, “alla pari” con gli enti che devono dare pareri sulle
loro proposte…
Completano
il quadro due sciagurati “effetti collaterali”, niente affatto
casuali: la sempre più residuale partecipazione dei cittadini ai
processi di trasformazione del territorio, e la mancanza di
trasparenza su quanto si va decidendo.
Avere tempi contingentati e il commissario dietro l’angolo, è
un’ottima scusa per togliersi dai piedi una gestione allargata dei
cambiamenti, basata sul confronto tra le amministrazione locali e le
realtà territoriali. E le deroghe ad
hoc e i privilegi
commissariali impediscono anche il controllo democratico delle
procedure.
Come
veda il presidente Renzi il ruolo e il contributo dei cittadini alla
“città pubblica”, lo si evince dall’articolo 24, chiamato
pomposamente “Misure di agevolazione della partecipazione delle
comunità locali in materia di tutela
e valorizzazione del territorio”. Ebbene, la “partecipazione”
consiste in un’attività di “pulizia, manutenzione, abbellimento
di aree verdi”, praticamente un modo di risparmiare sul bilancio
comunale, e le “misure di agevolazione” sono uno sconto sulle
tasse.
Triste
e significativa metafora di una filosofia che riducela
vita collettiva a una somma di esistenze individuali.
Non
più una comunità che si fa carico del proprio territorio (come
invece sta accadendo spontaneamente ovunque), in una prospettiva più
ampia di proposte e soluzioni per migliorare la vita del quartiere,
ma solo “singoli” che si occupano del decoro del proprio
“habitat”, in base a uno scambio/vantaggio meramente economico.
E
questo la dice lunga su quanto questo governo sia sideralmente
lontano dalla Costituzione italiana, dalla tradizione del “popolo
della Sinistra” e anche dalla gente comune. Perché le persone
hanno a cuore il proprio territorio: anche in questo momento di
difficoltà, anche nei quartieri un tempo dignitosi dove si affaccia
la povertà, anche nelle periferie dove la povertà è sempre più
tangibile. Arrancano, ma sono ancora capaci di reagire per impedire
le speculazioni, per proteggere gli alberi, per difendere quei
“coccetti” che ostacolano il “rilancio dell’edilizia”. Sono
uomini e donne che rifiutano “d’istinto”
la visione del proprio spazio di vita come merce da sfruttare. Perché
difendere il proprio territorio e la sua bellezza è difendere se
stessi, la propria dignità.
E
conservare ancora il senso di appartenenza a una comunità.
Questa
è un’Italia che esiste e resiste ancora, e che allo “sblocca”
preferisce il “prendersi cura”.
Anna Maria Bianchi
(by Nicola)
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