Non si può applicare la pena di reclusione, prevista dalla legislazione italiana, a quegli immigrati che siano in soggiorno irregolare, in quanto in contrasto con la direttiva Ue sui rimpatri. Lo ha stabilito la Corte di giustizia europea.
Secondo la Corte di Lussemburgo "la direttiva Ue sul rimpatrio dei migranti irregolari osta ad una normativa nazionale che punisce con la reclusione il cittadino di un Paese terzo in soggiorno irregolare che non si sia conformato ad un ordine di lasciare il territorio nazionale", in quanto "una sanzione penale quale quella prevista dalla legislazione italiana può compromettere la realizzazione dell'obiettivo di instaurare una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali".
Di conseguenza, il giudice italiano incaricato di applicare il diritto di Bruxelles "dovrà disapplicare ogni disposizione nazionale contraria al risultato della direttiva (segnatamente, la disposizione che prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni) e tenere conto del principio dell'applicazione retroattiva della pena piu' mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri".
L'Italia, ha poi sottolineato la Corte, non ha ancora trasposto la direttiva europea sui rimpatri, da cui "la procedura di allontanamento italiana differisce notevolmente". Pur essendo la legislazione penale di competenza degli Stati membri, questi devono comunque rispettare il diritto Ue e non possono quindi applicare una normativa, sia pure di diritto penale, che ne comprometta la realizzazione degli obiettivi.
Di conseguenza, ha concluso Lussemburgo, "gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all'insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all'allontanamento coattivo, una pena detentiva" solo perché "un cittadino di un Paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio nazionale e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare" in Italia.
Il carcere, infatti, "rischia di compromettere la realizzazione dell'obiettivo perseguito dalla direttiva" di Bruxelles, ossia "l'instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare nel rispetto dei loro diritti fondamentali".
La sentenza della Corte europea fa riferimento al caso di Hassen El Dridi, entrato illegalmente in Italia, nei cui confronti è stato emanato nel 2004 un decreto di espulsione in base a cui nel 2010 è stato spiccato un ordine di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni per mancanza di documenti di identificazione, indisponibilità di un mezzo di trasporto e impossibilità, per mancanza di posti, di ospitarlo in un Cpt. Non avendo lasciato l'Italia, El Dridi è stato quindi condannato dal Tribunale di Trento ad un anno di reclusione per reato di clandestinità, decisione contro cui ha fatto ricorso.
''Essere immigrati non è una colpa, la sentenza della Corte europea di Strasburgo va nella direzione giusta''. Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant'Egidio, commenta così all'ADNKRONOS la sentenza che "è una buona occasione per tornare regolari. Una parte significativa degli immigrati in carcere è infatti reclusa solo per infrazioni al permesso di soggiorno e per un inesistente reato di clandestinità - aggiunge - tutti gli addetti ai lavori sanno che gli immigrati regolari hanno un tasso di 'delittuosità' identico a quello degli italiani".
Fonte: Adnkronos/Aki, 28.04.2011
(by Nicola)
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