Riceviamo e pubblichiamo
In
medio stat virtus,
così i latini collocavano la virtù perché, evidentemente, la
saggezza umana, attraversando tutte le culture ed i secoli che
precedettero la romanità, aveva meglio interpretato quello a cui
l’uomo dovrebbe tendere.
Sono trascorsi millenni, ma è difficile
immaginare una sintesi diversa da quell’assunto; specie nel nostro
contesto socio, economico e culturale che, attraverso i secoli, ha
forgiato l’italiano medio corrispondente all’opposto di quello
immaginato dai nostri progenitori.
Sono arcinote le nostre tendenze
di individualismo, qualunquismo ed opportunismo evidenziate,
magistralmente, anche nel nostro cinema. La nostra società è
connotata da forti retaggi caratteristici della “famiglia tribù”
che antepone i propri interessi comunque ed a prescindere. E’
importante proteggere il clan
che si pone come il maggior nemico del bene comune.
In questo
contesto la meritocrazia non trova albergo in nessun settore
infestando anche quello privato. In queste voragini, di caos voluto e
perseguito, ci si tuffano tutti i senza titoli che il popolo invoca
come nuovi messia. Poi delusi, si riparte per condannare politici ed
amministratori dimenticando che questi soggetti corrispondono ai
nostri desiderata e non provengono da altri pianeti.
A nulla servono
le periodiche statistiche, anche quando ci ricordano che l’Italia,
nel contesto europeo, connota la più bassa percentuale di diplomati
e laureati e la più alta di analfabetismo.
A questi dati
catastrofici, sempre le indagini statistiche, sommano che il trenta
per cento dei nostri laureati ha difficoltà a comprendere un
articolo giornalistico. Intanto, negli ultimi 10 anni, circa un
milione di giovani e meno giovani, spesso laureati, hanno lasciato il
nostro Paese.
A queste carenze culturali si aggiungono quelle
produttive caratterizzate da micro aziende; spesso prive di valore
aggiunto e perciò non competitive, nel mondo globalizzato. Però ci
viene ricordato, a compensazione, come se fosse novità, che
possediamo un patrimonio culturale unico, non valorizzato. Non
si tiene conto che, anche per questa indubbia rilevante risorsa, la
monetizzazione passa attraverso la conoscenza profonda del bene, da
parte di tutti i soggetti interessati, che non sono gli attori
odierni.
A termine di queste brevi riflessioni catastrofiche, se
condivise, ci si chiede: come sarà possibile avviare a soluzione
questi annosi problemi? In un paese semiserio, il capo tribù
riunirebbe tutti i saggi del villaggio, con diverse competenze, per
discutere sulla via maestra da percorrere. A chi scrive, che non
farebbe mai parte di quella ipotetica assemblea, sembra di poter
suggerire che, una volta condiviso che i problemi che ci riguardano
sono di diversa natura e con radici profonde, non rimanga che
iniziare ad investire, a tutto tondo, sulle future generazioni perché
coltivino il bene comune e la normalità. A tal proposito, proporrei
di istituire, sempre che si trovi un numero sufficiente d’iscritti,
una nuova facoltà univesitaria: Scienze della Normalità.
Potrebbe
risultare utile, per iniziare a forgiare quell’uomo di medie
virtù, quindi normale, sempre più raro nella società italiana.
Michele
Carroccia
Nessun commento:
Posta un commento